domenica 31 dicembre 2017

Propositi per il nuovo anno? Proposte di leggi

Il 2017 si sta chiudendo con le Camere ormai sciolte e con l'impossibilità ormai di fatto e di diritto di formulare nuove leggi e il Governo rimane in carica solo per l'ordinaria amministrazione fino al giorno delle elezioni.
E in questo giorno in cui l'anno è ormai sul finire si è soliti formulare auguri e buoni propositi per il nuovo anno. In ossequio a questa tradizione, la possibilità è propizia per formulare dei buoni propositi, ma per una volta la tradizione potrebbe essere rivolta con un'altra ottica: quella di proporre al nuovo Parlamento, comunque esso sia composto, di lavorare su alcuni disegni di legge molto più utili e concreti di quelli che si sono visti negli ultimi anni.
Qui di seguito ve ne sono alcuni, corredati di relative motivazioni per cui ci potrebbe essere quella suddetta utilità.

Introduzione della responsabilità solidale dei club sportivi e degli ultras per i danni causati da questi ultimi
Purtroppo si sprecano nelle cronache gli episodi in cui gli ultras si sono scatenati in nome dello sport o di squadre sportive, quindi per motivi assolutamente futili e banali (a voler essere buoni), e hanno causato danni difficili da quantificare e più ancora da riparare. E chi paga? Purtroppo non loro, in pieno spregio al principio "chi rompe paga".
Da un certo punto di vista, è anche comprensibile: purtroppo è fisiologico che i responsabili siano difficili da identificare e spesso riescano in qualche maniera a farla franca perché non hanno nemmeno il coraggio di agire a viso aperto e anche uei pochi che vengono presi e processati, anche a volerli spreme giustamente come limoni, non hanno spesso e volentieri abbastanza fondi per riparare ai danni che hanno contribuito a causare... ma ciò che viene distrutto deve essere ricostruito e non lasciato all'abbandono e al degrado. Il punto però resta sempre uno e uno soltanto: con quali soldi? In mancanza di responsabili, alla fin della fiera paga il pubblico... ovvero, in definitiva, le tasse degli Italiani.
Ma perché anche chi non è tifoso di una data squadra in nome della quale è partita la guerriglia o magari non tifa proprio per quello sport dovrebbe essere costretto a pagare? Certo, la ricostruzione va anche a vantaggio suo, ma lui che colpa ne ha se altri poco dotati di senso civico sono andati a spaccare tutto in nome di uno sport o di una squadra sportiva? Sarebbe molto più giusto che a pagare in prima istanza sia proprio la squadra sportiva in nome della quale e per la quale si scatena la brutalità. E dato che lo sport non fa nulla per arginare il fenomeno ed arginare gli esaltati che vivono per esso, che almeno paghi la ricostruzione!

Modifica del regime di tassazione e della burocrazia
Questa è forse l'opera somma di un economista, ma ormai siamo arrivati ad un punto in cui non se ne può più: tasse, accise, gabelle, stangate, aumenti dei prezzi, rincari delle bollette, versamenti INPS, INAIL, IVA, oneri... insomma, non si sa più a questo punto cosa sia esentasse o comunque ad un prezzo ragionevole e sembra quasi che lo Stato non sappia più cosa inventarsi per far pagare ancora un po'... per concedere in cambio dei servizi di qualità altalenante. Quando poi i servizi ci sono, cosa che dovrebbe essere scontata, ma che purtroppo così non sempre è.
Certo, si può dire che la colpa sia dell'evasione fiscale e della corruzione... vero, anzi verissimo, ma non solo: la colpa è anche di una burocrazia lenta e di tempi tecnici obbligati per leggi o regolamenti obsoleti, mancanze strutturali che fa in modo di sprecare e far impiegare male le risorse a disposizione. E alcune tasse poi sono strutturate anche in maniera tale da essere difficili da comprendere e meno ancora da pagare, soprattutto contravvenendo al principio di proporzionalità delle tassazioni... anzi, il sistema attuale è praticamente tutto fuorché proporzionale.
Rendere le tasse proporzionali, proporzionate ed omogenee, tagliare i tempi tecnici, tagliare davvero i tempi morti, eliminare e semplificare i passaggi burocratici e togliere le condizioni che impediscono di ridurre le tasse sarebbero un primo passo per stare davvero bene tutti quanti. Anche perché non bisogna dimenticare un normale effetto: più una tassa è alta e più si tende a trovare alternative per ottenere lo stesso risultato voluto... e più tasse ci sono, maggiori sono i tentativi di pagarne il meno possibile.
Meno tasse, meno care e meglio impiegate per servizi più efficienti e più rapidi costituiscono il fondamento per iniziare a stare meglio, pagando tutti le giuste tasse.

Regolamentazione del mercato della prostituzione
Tagliando tutti gli indugi, la materia della prostituzione è oggi una delle più grandi zone grigie d'Italia, resa tale dalla cecità e dall'ideologia di moralismo proibizionista che hanno portato all'approvazione della Legge Merlin e dalle ipocrisie successive, che rendono illegale lo sfruttamento della prostituzione e la ricerca di persone con cui collaborare in questo settore, ma allo stesso tempo non la proibisce se viene svolta in ambito privato da singole persone, soprattutto quando questa attività avviene in appartamenti o spazi comunque privati.
Il quadro non si esaurisce certo in così poche righe e anzi molto ci sarebbe ancora da dire sui paradossi di questo settore, ma a voler vedere bene quello che si dovrebbe fare, la risposta è una sola: legalizzare e regolamentare. E farlo bene. Perché non è vero che "nessuna donna vorrebbe essere una prstituta" così come non è nemmeno vero che sia un fenomeno solo ed esclusivamente femminile: se ne parla poco e forse le proporzioni non sono le medesime, ma non bisogna dimenticare che anche uomini e transessuali sono coinvolti nel fenomeno.
Ad oggi infatti la mancanza di leggi e regolamenti compiuti permette la proliferazione di fenomeni paralegali o illegali del tutto, passando dall'evasione fiscale all'immigrazione clandestina e al conseguente sfruttamento di schiave sulle strade (e non solo), che purtroppo esercitano in concomitanza di altre persone che svolgono liberamente e volontariamente il medesimo mestiere. Mestiere non facile, tutt'altro che per tutti, ricco di sfumature, considerazioni, giudizi e (s)vantaggi, ma pur sempre un mestiere che frutta e muove parecchi soldi ogni anno. Soldi a cui lo Stato ha abdicato dai tempi dell'approvazione della citata Legge Merlin, assieme alla doverosa tutela di chi lavora in questo settore, invece che correggere le storture che vi erano all'epoca.
Ad oggi il fenomeno è tutt'altro che scomparso e anzi a tutti gli effetti la Legge Merlin ed il moralismo successivo hanno anzi aggravato e reso più fosco che mai il quadro attuale, quadro in cui ormai le stesse persone che volontariamente vi lavorano cominciano da tempo a chiedere leggi, tutele e dignità. La stessa dignità che vari governi e discorsi pubblici hanno fino ad oggi inspiegabilmente negato e che anzi hanno permesso che molte organizzazioni potessero prosperare grazie ai corpi altrui... al punto che ad oggi non è possibile a volte capire chi volontariamente si dedichi a questo mestiere e chi no.
Creare leggi, regolamenti e condizioni per esercitare con maggior sicurezza è ormai diventato doverso non solo per ottenere delle nuove risorse per diminuire le tasse allargando la base di tassazione (e andando quindi ad ampliare quanto già detto al punto precedente), ma anche per migliorare le condizioni di tutti i coinvolti e sottrarre questo ambito alle organizzazioni criminali, per poterle meglio indagare, inquisire e smantellare, liberando così persone che non vogliano esserci coinvolte e permettendo piena dignità e leale concorrenza a coloro che vogliono esercitare onestamente, alla luce del sole e della legalità... e magari senza pregiudizi.

Introduzione dell'aggravante dei motivi culturali
Nell'ambito della repressione dei fatti di reato o che sono potenzialmente tali, l'ordinamento dello Stato ha in qualche modo trascurato di regolamentare quei casi in cui dei delitti vengano commessi perché determinati o istigati da culture straniere, prime fra tutte quelle nomani... o estranee all'ordinamento pur da parte di cittadini italiani, quali ad esempio le (sub)culture mafiose. Di conseguenza la giurisprudenza, priva di un dato certo e di una norma da applicare, non ha tenuto un orientamento univoco e costante e i diversi casi non hanno un'unica applicazione.
Per questo sarebbe utile mettere un punto fermo sulla questione ed affermare che la cultura e l'ordinamento italiani non sono degli orpelli passeggeri, ma qualcosa di fondamentale e da rispettare, da cambiare forse, ma in quel caso con i giusti tempi e modi, di certo non con il crimine. E pertanto l'appartenenza ad una cultura straniera o estranea non deve essere una giustificazione o un motivo per lasciare impuniti certi fatti, ma che anzi gli stessi devono essere a maggior ragione puniti perché più offensivi dei normali reati.
Una norma quindi non pre creare discriminazione, ma per proteggere tutti coloro che, vivendo in Italia come Italiani, non debbano sentirsi minacciati di dover rispettare per forza qualcosa di radicalmente sbagliato ed estraneo.

Cancellazione della cittadinanza ai condannati per mafia
L'ordinamento italiano prevede i modi per ottenere la cittadinanza, ma anche pochi casi in cui è possibile perderla. Questo dovrebbe essere riconosciuto ed introdotto come un nuovo caso di perdita di questo importante status personale.
In relativa conseguenza alla norma auspicata poco sopra, vi è anche questa, che trova la sua causa di esistenza in una semplice considerazione: coloro che appartengono ad una cosca mafiosa, ne adottano la visione e la cultura di parassiti che si vorrebbero sostituire all'Italia, allo Stato e alle sue leggi imponendo a tutti le proprie, quasi fossero un diverso stato nello Stato.
Ebbene, come tali quindi andrebbero considerati e puniti: dei criminali che già di base si comportano come dei non-Italiani e che quindi come tali dovrebbero essere espulsi dal novero dei cittadini e trattati come appartenenti ad un'altra compagine statale... ma dal momento che non esistono altri Stati che possano ammettere legalmente cittadini e metodi del genere, logica derivazione è che questi soggetti non appartegono a nessuno Stato, ovvero siano degli apolidi. Arrivare ad una condanna penale definitiva per delitti di criminalità organizzata è un percorso lungo, articolato, ma che alla fine lascia pochi margini di dubbio in merito. E che non merita sconti o pietà.
Un'unica eccezione a questo principio ci dovrebbe essere: i pentiti di mafia. Pentiti autentici, non di circostanza, che davvero dimostrino di voler rimanere italiani e non mafiosi estranei alla nostra cultura.


Questi sono alcuni buoni propositi di miglioramento della legge italiana che andrebbero presi e magari realizzati entro i primi mesi dell'anno che verrà, ma che concretamente potrebbero prendere molto più tempo per essere strutturati ed approvati.
E voi? Quali altri buoni propositi avete nel cassetto?

giovedì 2 novembre 2017

Come si può rinunciare alla patria potestà?

La domanda, che purtroppo si sente sempre più di frequente in ambito di separazioni personali e divorzi, ha una sola risposta: non si può.
Il "rimedio" migliore nel caso in cui la responsabilità genitoriale non sia un onere gradito è semplicemente quello di non assumersela evitando di generare dei figli. Nel momento in cui questi nascono, i genitori hanno il diritto e il dovere di occuparsi di tutti i figli, con tutte le conseguenze del caso e indipendentemente dal fatto che siano nati nati dentro o fuori dal matrimonio o in prime, seconde o terze nozze.
Perdere la potestà genitoriale (oggi chiamata responsabilità genitoriale per vezzi di politcally correct che possono apparire anche opinabili) è una conseguenza piuttosto seria, che l'ordinamento riserva solo ed esclusivamente a casi di violazioni piuttosto gravi della legge che mettono in pericolo i figli e il loro benessere, quando non la loro stessa sopravvivenza. E come tale, può essere disposta solo da un giudice al termine di un apposito processo.

La sospensione o la revoca della responsabilità genitoriale può essere affrontata sotto due ottiche distinte, ma unite dalla stessa ragione di fondo.
Il primo punto di vista rilevante è quello penalistico: vi sono alcuni reati previsti nell'ordinamento, uno fra tutti quello di maltrattamenti, volti a tutelare i membri della famiglia e una volta commessi i quali il giudice non solo infligge una sanzione che può consistere in anni di galera e/o in una multa anche molto salata da pagare allo Stato per aver violato una sua disposizione e la pace sociale e familiare (e soprattutto per aver messo volontariamente in pericolo la vita, la salute ed il benessere dei figli, che l'ordinamento tutela), ma revoca anche la responsabilità genitoriale a titolo di ulteriore sanzione. Questo significa che dal punto di vista penalistico, perdere la responsabilità genitoriale è e deve essere considerata da tutti come una vera e propria punizione, che priva a tempo (in)determinato della possibilità di prendere qualsiasi decisione inerente alla vita dei propri figli.
Dal punto di vista civilistico, gli esempi della casistica abbondano: trascurare o peggio ancora abbandonare i figli, non mantenerli e non educarli adeguatamente, maltrattarli e distoglierli dai loro talenti e dalle loro inclinazioni naturali sono solo alcune delle possibili malversazioni che possono giustificare il ricorso al giudice affinché prenda i debiti provvedimenti, incluso allontanare il genitore lontano dal modello ideale e neutralizzarlo togliendogli ogni potere connesso alla responsabilità genitoriale. E magari anche disporre un risarcimento per il male già compiuto, qualora ne venga fatta apposita richiesta. Ancora una volta appare chiaro come il fine della legge sia uno solo: prevenire il male ulteriore che potrebbe derivare ai figli dalla vicinanza di un soggetto che si dimostra incapace e disinteressato a provvedere a loro, nella migliore delle ipotesi.

Entrambe le visioni esposte brevemente più sopra dovrebbero rendere un'idea del punto focale: la responsabilità genitoriale è un insieme di diritti e di doveri che nascono in capo alla persona per il fatto di dare alla luce una nuova persona: sono diritti e doveri connessi alla cura dei nuovi nati, alla loro tutela e al loro sviluppo finché non diventano uomini e donne adulti ed indipendenti.
Si tratta in altri termini di responsabilità a cui non ci si può sottrarre volontariamente, soprattutto se il fine è quello più gretto e becero di "risparmiare" a scapito degli altri... e a questo proposito, c'è una brutta notizia per coloro che una volta revocata la potestà genitoriale pensano di non pagare più il mantenimento dei figli, magari dopo una separazione o il divorzio: la sospensione o la revoca della responsabilità genitoriale non fanno venire meno l'obbligo di mantenimento, in quanto questo è un obbligo inderogabile derivato dall'essere genitori e non dall'essere responsabili dei figli. In un certo qual senso, si potrebbe anche dire che l'ordinamento punisce ancora ed in maniera più marcata coloro che si comportano male nei confronti dei figli. Una punizione più che congrua e ben meritata.
L'unico vero rimedio per non pagare passa per la prevenzione e dal non diventare genitori. Anche perché, come l'ordinamento stesso tende ad affermare fra le norme, a cosa serve mettere al mondo dei figli se poi non si vuole loro bene e non si è pronti e disposti ad affrontare tutte le responsabilità che comporta l'essere genitori?

martedì 24 ottobre 2017

Commento polemico alle polemiche post-referendum lombardo-veneto

Chi segue da più tempo l'iniziativa "Parliamo di Diritto" avrà potuto osservare come in occasione delle varie consultazioni referendarie siano state fornite diverse istruzioni, indicazioni e soprattutto spiegazioni del valore legale e dell'impotanza dei vari referendum, cercando di vedere oltre le singole visioni di "campagna elettorale" e lasciando allo stesso tempo ogni valutazione politica al singolo apprezzamento personale. Ogni commento seguito all'esito dei referendum stessi è stato poi affidato alle valutazioni singole e personali estranee a questo spazio.
Questa volta invece non è purtroppo possibile rimanere in silenzio di fronte al fiorire di numerosi articoli, affermazioni e frainendimenti che il referndum lombardo-veneto sta portando con sé e occorre quindi chiarire, di nuovo, alcuni concetti fondamentali.
 
1) Nessuna delle due Regioni ha mai votato o inteso votare per diventare indipendente o per staccarsi dall'Italia: per quanto questo potesse essere l'utopico ed impossibile sogno di Umberto Bossi e della vecchia corrente della Lega Nord, questo progetto è ormai superato e ad oggi nessuno dotato di un minimo di intelletto e buona fede potrebbe affermarlo senza che sia uno scherzo o senza essere consapevole che realizzare una cosa del genere sarebbe uno strappo alla tanto esaltata Costituzione.
Tant'è che si è votato per l'autonomia di queste Regioni (v. oltre).
2) Anche se per assurdo si fosse votato per l'indipendenza, con quale coraggio si sarebbe potuto proclamare con un semplice referendum consultivo (che ha lo stesso valore di un sondaggio) e non invece con un atto come quello con cui si è scelto di passare dalla monarchia alla repubblica?
3) Non è chiaro e a questo punto si dovrebbe anche spiegare come accidenti sia possibile anche solo pensare che "autonomia" ed "indipendenza" siano sinonimi. 
A livello giuridico soprattutto, ogni parola ha il suo significato preciso e non può essere confuso con altri.
Giusto per chiarire a grandi linee, avere autonomia, significa avere libertà di esercitare opzioni e competenze senza avere troppi vincoli dall'alto, ma sempre e comunque in inconfondibile posizione subalterna a qualche altro ente superiore (in questo caso dello Stato Italiano); indipendenza invece significa che nessuno dei due enti è in rapporto subalterno all'altro, ma sono in piano di parità... come l'Italia e San Marino, per fare un esmpio pratico.
Quindi, visto che il referndum è stato per l'autonomia, è escluso che fosse destinato all'indipendenza o ad ottenerla.
4) Non è cambiato niente e nulla potrebbe nemmeno cambiare in tempi brevi: come già esposto in precedenza, questo referendum è consultivo, quindi non ha valore legale. Ma soprattutto questa è stata una mossa squisitamente ed esclusivamente politica.
Altro non è stato che una legittimazione popolare delle Giunte delle due Regioni coinvolte ad avviare le trattative con il Governo per ottenere una diversa distribuzione delle competenze già previste dalla Costituzione. In parole povere, per cambiare la distribuzione dei poteri già esistenti, nulla più e nulla di meno.
5) I costi ci sono stati e non ci si può fare nulla.
Qualunque cosa se ne possa pensare, ormai però il referendum è passato ed è finito. Si spera che le spese fatte dalla Regione Lombardia siano una tantum e che i costi vengano abbattuti ed ammortizzati nelle votazioni successive, ma toccherà al governo a questo punto estendere la modalità di voto elettronico al resto del Paese e magari raffinare le procedure.
Quel che è certo è che continuare a polemizzare su questo aspetto significa solo piangere sul latte versato, come si suol dire. Non sarebbe il caso di impiegare le proprie forze mentali su altri aspetti più importanti ed attuali?
6) Il voto elettronico ha o non ha funzionato?
Dal momento che questa è una materia ancora sperimentale, una prova potrebbe non essere sufficiente a dire sì o no. Andrebbe ripetuta per poter essere raffinata. Schierarsi apertamente e preventivamente pro o contro una tecnologia che potrebbe prevenire fenomeni di scrutatori partigiani e brogli elettorali senza prima capire nel merito se funzionerà a dovere e se e quali procedure vi siano da raffinare equivale ad avere troppe speranze preventive nella tecnologia o una coda di paglia lunga fino alla frontiera.

Altre polemiche che possono essere segnalate saranno affrontate nel merito e nei casi specifici.

venerdì 20 ottobre 2017

Il caso Asia Argento, Weinstein... Adinolfi e altri.

L'ormai ben nota e sordida vicenda di Asia Argento ha destato non poco scalpore e su di essa il mondo social si è particolarmente distinto nel dividersi e a dare mostra di sé in una particolare dicotomia tra innocentisti e colpevolisti, tra chi ha dato addosso alla (controversa) figlia di Dario Argento e  chi l'ha difesa a spada tratta, passando per vari gradi di oscurità ed oscenità, anche purtroppo a livello ideologico.
Pare utile riflettere sulla questione sotto una diversa visione dell'argomento e probabilmente un esempio ed una metafora anche di legge potrà aiutare a capire qualcosa sul tema: per quanto concerne l'attrice nostrana, si parla di un caso "vecchio" e che secondo la legge americana potrebbe essere prescritto o meno: il procedimento penale d'oltreoceano potrebbe fare il suo corso o rimanere impunito dal punto di vista della giustizia dei tribunali, ma che si tratti di qualcosa di brutto e oscuro ci sono ormai pochi dubbi, considerato anche il fatto che non è una persona sola ad aver denunciato il potente produttore Harvey Weinstein, bensì parecchie. E, come lei, dopo diversi anni dagli abusi da lui commessi.

E il fatto che Asia Argento abbia avuto dal soggetto in questione regali costosi ed una relazione dalla durata chiacchierata e non ben definita, anzi nemmeno certa, non può apparire nemmeno così strano, inspiegabile o "da puttana" (come si è letto e sentito da più parti): questo lo si può affermare non solo su base presuntiva o "innocentista", non solo sulla base del fatto che oggi come allora casi del genere si guadagnano una vergognosa eppure certa gogna mediatica e sociale che paradossalmente colpisce la vittima invece del carnefice; ma anche perché pure in Italia vengono commessi reati del genere (e anche altri), che possono essere perpetrati secondo una condizione o un'aggravante molto ricorrenti e previste dal Codice Penale a più riprese: quelle dell'abuso di autorità o di condizioni psicologiche. E quello di una figura come quella del soggetto in parola ne è un esempio decisamente lampante: si può facilmente immaginare come e con quanta facilità possa approfittare della propria posizione un uomo che con una telefonata e una parola potrebbe far sorgere o cadere un contratto, dare occasioni o stroncarle, magari in tutto il settore e praticamente per sempre... e a fronte di ciò, è facile che chi non abbia un carattere molto forte non riesca ad opporsi e a venirne fuori e comunque al forte prezzo di dover rinunciare a sogni e possibile carriera; e se l'abuso di autorità continua e si tramuta addirittura in una spirale di ricatti e continue violenze, anche le apparenze sociali non ne possono che esserne influenzate.
Basti pensare altresì ai fin troppi casi di relazioni domestiche squilibrate o abusi domestici prolungati o anche ai molti casi di femminicidi giovanili o ancora i casi che ogni tanto emergono di ragazzine stuprate da un branco di poco più che coetanei ricattate con video hard: in molti casi la consapevolezza di essere vittime di violenza c'è, ma non si denuncia e anzi si fa finta che vada tutto bene di fronte agli altri e all'universo mondo.... finché non si arriva ad un punto di rottura e qualcosa di peggio non accade. Per chi resta da vedere, a seconda di come si evolvano simili vicende.
In tutti i casi di questo genere, così come in tanti altri che si potrebbero elencare per ore, sono tutte delle ingenue sgualdrine a sopportare mariti, fidanzati, compagni di classe, (ex) amici, colleghi o datori di lavoro per tanto tempo (da mesi ad anni o decenni)?

Purtroppo più di qualcuno pare pensarla in questo modo e non solo gente anonima o che approfitta vigliaccamente degli altri nei modi appena citati, ma anche soggetti più famosi che si pongono e propongono in qualche modo nel ruolo di fari e guide morali... ergendosi però come portatori (in)sani di moralismo di un livello tale da risultare parecchio offensivo ed inappropriato, al punto da essere bannato persino dai tanto contestati social network.
E a buon motivo, dal momento che ormai la storia sta travalicando ogni confine del buon senso e del buon gusto, in quanto Mario Adinolfi ha esplicitamente paragonato Asia Argento ad una prostitua d'alto borgo, con un intento ed un tono rimessi al libero apprezzamento di tutti. Tralasciando il fatto che Asia Argento sarebbe pienamente legittimata a querelare il suddetto bannato da Facebook e che per effetto della recente Riforma Orlando potrebbe farsi risarcire fior di quattrini per questo attacco ingiustificato alla sua figura e alla sua reputazione, urge a questo punto chiarire quello che è stato il grave errore di valutazione ed ideologico che è stato commesso, non solo da lui, ma da lui efficacemente rappresentato e qui ripreso per via di ciò che ha pubblicamente affermato e frainteso.
Nello specifico, ad Adinolfi e a tutti quelli che sono stati affini alla sua posizione è sfuggito un concetto piuttosto delicato e che è già stato esposto più sopra: la violenza assume molteplici forme e non è sempre un atto violento fisico ed immediato, ma può benissimo protrarsi nel tempo e questa possibilità è tanto più alta quanto più è potente e predominante la parte che violenta, ricatta ed abusa della sua influenza. Non si tratta semplicemente di una differenza terminologica, ma di un dato che viene ben stabilito anche dalla legge italiana all'art. 609 bis del Codice Penale.
In particolare è utile sottolineare e riprendere il primo comma della norma citata: 
"Chunque con violenza o minaccia o abuso di autorità costringe taluno a subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni"
Come si può ben leggere, la norma italiana contempla esplicitamente anche il caso di abuso di autorità tra le condizioni con cui si può commettere il reato, condizione che certa parte dell'opinione pubblica (e degli opinionisti da social sempre più arrogantemente diffusi senza avere né arte né parte) pare non aver nemmeno lontanamente preso in considerazione.
E l'altra espressione sottolineata è ben indicativa di quanto sia ampia la portata del reato, quanto sia vasta la tutela dedicata dalla norma al contrasto della violenza: la disposizione citata punisce tutti gli atti sessuali forzati. Qualche lettore superficiale potrebbe pensare ed obiettare che un atto sessuale non è per forza uno stupro... ma questo stesso lettore superficiale incorrerebbe nello stesso tremendo errore di sottovalutare quello che la legge espone e tutela: la libertà sessuale, secondo il citato art. 609 bis c.p. deve essere totale e consensuale da entrambe le parti, dall'inizio alla fine del rapporto. Non è un caso se altre pratiche vergognose ed in sé inspiegabili come lo stealthing possano essere punite dalla stessa norma, perché un atto sessuale iniziato in un modo deve essere poi compiuto in buona fede e senza inganni o travalicazioni da parte di nessuno dei coinvolti in questo stesso atto.
E in simili casi, pagamenti e regalie "riparatorie" possono essere viste come un piccolo e generoso compenso da parte di chi violenta... ma, tornando al punto precedente, si possono benissimo vedere e considerare come un'ulteriore dimostrazione del potere ed estrinsecazione dell'abuso da parte della persona che oltretutto "si degna" di aggiungere qualcosa di materiale dopo la violenza psicologica (prima ancora che fisica) inferta alla sua vittima. Come se ciò bastasse a riparare tutto il male commesso...
Ma come si fa a questo punto a vedere questa (peraltro eventuale) elargizione come un compenso? E come lo si può considerare quindi il prezzo di una prestazione prostitutiva invece dell'ulteriore umiliante sfoggio di potere e di influenza che è?

Anzi, come si fa a considerare questa come prostituzione? Per di più di alto borgo?
Su questo aspetto pare non esserci molta chiarezza in merito da parte dei propugnatori della giusta morale e occorre anzi delineare ancora una volta cosa si possa intendere come rapporto di natura prostitutiva a livello di legge: si tratta di un'obbligazione naturale, ossia di un accordo non scritto e non giudizialmente risarcibile, con cui una persona accetta volontariamente di effettuare atti sessuali dietro compenso precedentemente e liberamente stabilito tra le parti. E a questo punto non si può sottolineare abbastanza il fatto che si tratta di un rapporto liberamente e volontariamente stabilito tra entrambe le parti. In cambio di soldi o altri beni materiali e senza altri rapporti di sorta dopo aver consumato le prestazioni sessuali concordate.
Nulla c'entra qualsiasi considerazione di ordine morale o moralistica che si possa fare sul tema e su cui si potrebbe discutere per ore. E nulla c'entra nemmeno il triste e depreccabile fenomeno, questo veramente "da puttane", di fare favori sessuali al capo in cambio di scatti di carriera e posizioni a scapito di chi se li meriterebbe: a livello di ordinamento, la prostituzione è solamente un rapporto sessuale o una serie di rapporti liberamente concordati in cambio di un prezzo in denaro liberamente stabilito di comune accordo.
Per il resto, il tema della regolamentazione della prostituzione era già stato trattato in precedenza e ancora dovrà essere affrontato in altra sede: basti qui richiamare il video-approfondimento che era stato già pubblicato da tempo.


Non resta quindi che una triste domanda, a cui probabilmente non verrà data una risposta tanto presto: cosa si aspetta a mettere da parte l'ignoranza e l'arroganza di sapere tutto su vicende così complesse e oscure e mettersi invece a capire per bene le cose?
Andare oltre le facili posizioni preconcette che non dicono nulla e non fanno altro che offendere e denigrare chi vive qualcosa che non si dovrebbe vivere è un atto che richiede molto stomaco e molto coraggio. Ma le conseguenze dell'alternativa comodità sono così allettanti?

giovedì 19 ottobre 2017

La Riforma Orlando come cambia la prescrizione?

L'effetto principale e più dirompende della cosiddetta "Riforma Orlando", approvata con la Legge n. 103 del 23 giugno 2017, è già stato trattato nell'approfondimento già dedicato al nuovo regime delle querele.
Ma, come anticipato, quello è stato solamente il primo dei vari cambiamenti introdotti e passati relativamente sotto silenzio nell'estate appena trascorsa. Cambiamenti peraltro non molto facili da analizzare, in quanto la Legge in questione adotta una "tecnica legislativa" piuttosto discutibile: se in passato si potevano criticare articoli composti da fin troppi commi e di difficile lettura, ma che comunque avevano una certa logica interna e non sconfinavano nelle previsioni di altri articoli, contribuendo a creare un disegno in qualche modo organico, in questo caso la legge è composta da un unico articolo e quasi un centinaio di commi che passano senza alcun ordine logico dall'introduzione di nuovi istituti al variare delle pene di alcuni reati al cambiamento della procedura penale.
Leggere un provvedimento del genere diventa un'impresa molto ardua e il compito di disticare la matassa ed interpretarla, prima ancora di renderla comprensibile, viene quindi molto più complicato di quanto già non sarebbe. C'è da augurarsi che tale sciagurata tecnica legislativa sia più unica che rara e che rappresenti anzi in campo di legge la proverbiale espressione "toccare il fondo"...

Ad ogni buon conto, uno degli altri effetti della Riforma Orlando si può riconoscere, oltre che nell'aver reso la maggior parte delle querele una sorta di invito al pagamento, nell'aumento delle pene o nell'esclusione delle attenuanti per alcuni reati.
Per i più curiosi, vengono aumentate a vario modo le punizioni formali per i reati di scambio politico-elettorale, di furto in abitazione e con strappo e di estorsione. Solo questi. Senza una logica apparente e senza un disegno d'insieme. Anzi, questi aumenti di pena sono una sorta di "intermezzo" rispetto a nuove regolamentazioni ben più importanti.

Infatti è un altro e più importante aspetto che appare determinante nel novero della riforma: il cambiamento dei termini di prescrizione e del loro decorso.
La nuova legge prevede infatti che nel caso di reati commessi contro i minorenni, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui la vittima raggiunge la maggiore età; analogo spostamento dell'inizio della prescrizione viene fatto in caso in cui siano necessari determinati atti (autorizzazione ad agire, deferimenti, rogatorie internazionali...).
La prescrizione invece addirittura sospesa non solo nei casi già previsti normalmente dall'art. 159 c.p., bensì anche tra i vari gradi di giudizio: è infatti previsto dalla nuova norma che la prescrizione di una causa venga sospesa per un limite massimo di 18 mesi tra i vari gradi di giudizio e dopo l'emanazione della sentenza di ciascuno dei gradi di giudizio che precedono quello in Cassazione. Di conseguenza i tempi processuali, già notoriamente biblici, vengono ulteriormente dilatati fino a tre anni... e quindi le vicende giudiziarie, anziché finire prima, restano ancora più a lungo nei tribunali, dove possono essere accatastate in attesa di essere esaminate e che si possa quindi arrivare ad una pronuncia definitiva. E in caso di assoluzione in appello o di annullamento della sentenza, i termini vengono peraltro computati di nuovo, prorogando ulteriormente i tempi.
Il tutto poi è condito da un ulteriore cambiamento in cui i tempi di prescrizione non vengono semplicemente sospesi, bensì vengono interrotti del tutto e devono quindi ricominciare a decorrere da capo dopo un evento già previsto prima dalla legge, ma che con la riforma assume anche una nuova valenza: l'interrogatorio reso alla Polizia Giudiziara delegata dal Pubblico Ministero ora interrompe la prescrizione.
Una previsione che può avere un senso in indagini particolarmente lunghe e complesse, ma che in altri casi diventa inspiegabilmente dilatoria, per non dire confusa quando stabilisce che questo meccanismo non possa comunque comportare un aumento dei tempi di oltre la metà del periodo di prescrizione ordinario nei reati contro la pubblica amministrazione. Molto più sensato ed organico sarebbe stato prevedere l'interruzione della prescrizione solo per il caso si proceda per alcuni tipi di reati e non in via generale ed in ordine sparso.
Tutta questa modifica del regime della prescrizione vista nel suo insieme appare "leggermente" paradossale rispetto agli intenti iniziali della riforma: a fronte di un tentativo di sfoltire il carico processuale eliminando sostanzialmente tutti i reati minori con querele poco utili ad arrivare in giudizio e forse più idonee ad arrotondare il conto in banca (tentativo già iniziato in precedenza con la particolare tenuità), la Riforma Orlando allunga notevolmente i tempi di "scadenza naturale" delle cause pendenti e future, lasciando sedimentare e trascorrere tanto, troppo tempo per arrivare a decidere e poter risanare le ferite inferte da un possibile fatto di reato.
La conseguenza estrema sembra un po' paradossale e sembra quasi voler dire che è meglio non finire in giudizio, perché altrimenti ci si resta impelagati (molto più) a lungo. Quando in realtà bisognerebbe starci di meno...

mercoledì 11 ottobre 2017

Dovuti chiarimenti sul Referendum lombardo-veneto

Com'è noto, il prossimo 22 ottobre gli abitanti delle Regioni di Lombardia e Veneto saranno chiamati ad esprimere il proprio voto in merito al quesito referendario indetto sull'autonomia... ed è da quando sono comparse le prime pubblicità in merito che si è cominciato, come al solito, a dire tutto ed il contrario di tutto.
Occorre quindi sgombare subito il campo almeno dai dubbi e dai "pettegolezzi" più frequenti che sono stati espressi in proposito:
1) il referendum del 22 ottobre non ha nulla a che vedere con il recente e controverso referendum indetto dai separastiti esteri dalla Catalogna: non si tratta infatti di una consultazione volta ad ottenere l'indipendenza di due Regioni e a fondare uno Stato autonomo ed indipendente all'interno dell'Italia. Non è insito nel quesito referendario e non avrebbe nemmeno quegli effetti: basti considerare che indipendenza ed autonimia non sono sinonimi per capire la portata di questa fandonia;
2) non si tratta di un referendum costituzionale, bensì di uno consultivo: questo aspetto non è di secondaria importanza, perché un referendum consultivo non va ad intaccare in alcun modo la Costituzione o una qualsiasi legge vigente, bensì consiste nella richiesta di un'opinione alla popolazione dotata di diritto di voto su un quesito stabilito da chi indice il referendum;
3) il referendum consultivo non ha alcun valore legale: come già esposto in occasione dell'esame dei vari tipi di referendum e della loro disciplina legale, in Italia hanno valore soltanto due tipi di consultazioni popolari, in quanto espressamente previste dalla Costituzione... e il referendum consultivo non rientra fra queste. Ne consegue quindi che, almeno a livello legale, questo referendum è equivalente ad un sondaggio, solo condotto nei seggi elettorali anziché su siti internet o per la strada.

Chiariti i punti fondamentali, resta da capire ora perché questo referendum sia stato indetto e che valenza abbia.
Nella storia recente, i referendum consultivi non sono certo una novità nemmeno in Italia, benché molti di essi siano rimasti per lo più lettera morta (per non definirli carta straccia) e dopo le rispettive votazioni non se n'è più parlato. Quello di prossima votazione rischia di non avere una sorte differente, ma in questa consultazione vi è una motivazione più sottesa rispetto alle altre: il 22 ottobre sancirà una sorta di illustre ritorno di un'iniziativa già tentata, arenata e dimenticata. Non molti infatti paiono essere al corrente dil fatto che la Regione Lombardia aveva già avviato e tentato una trattativa con il secondo Governo per ottenere una diversa distribuzione delle competenze previste dall'art. 117 della Costituzione, ma all'epoca la trattativa si arenò con la caduta di detto Governo e non venne più instaurata con quelli successivi. A quasi un decennio di distanza, ora si vuole ritentare la stessa iniziativa, ma su una base diversa.
Il vero valore di questo referendum quindi non è insito nella sua natura o nel suo (inesistente) valore legale, ma nel suo implicito significato di legittimazione popolare all'iniziativa e all'opportunità di tentare nuovamente la strada della trattativa con il governo centrale per l'attuazione del dettato costituzionale e la diversa distribuzione delle competenze amministrative.

Per quanto concerne specificamente la Lombardia, la consultazione popolare prossima ventura assume anche un'ulteriore valenza per molti versi sperimentale: la Regione è infatti finita nella bufera delle polemiche per i costi dell'acquisto di tablet per solgere il reefrendum con la nuova forma di voto elettronico... senza tenere in debito conto che questo acquisto è solo l'applicazione recente ed attuale di quanto in realtà già previsto ed approvato dalla Regione già dal 2016 con apposito Regolamento Regionale e quindi senza riflettre sul fatto che questa è una spesa "una tantum", valida anche per tutti gli analoghi referendum prossimi venturi (non a caso, il chiacchierato referendum consultivo del Sindaco di Milano sulla riapertura dei navigli previsto per aprile 2018 rientrerà in questa stessa categoria).
Questo Regolamento disciplina compiutamente le nuove modalità di voto, tramite dispositivi appositi, misure di sicurezza, criteri di valutazione e modalità di trasmissione dei risultati. E una lettura anche solo superficiale del Regolamento evidenzia un dato di fatto non molto ben calcolato: non si tratta quindi solo di fare un grande sondaggio in seggi elettorali, ma anche di sperimentare una nuova modalità di voto, per una volta tanto non ispirata al "grande modello americano", ma all'intento di correggere le storture evidenziate nelle votazioni passate e ad evitare quanto più possibile brogli e più o meno piccole variazioni ad opera di "scrutatori partigiani" (che purtroppo non sono un mito invntato per gridare ai brogli, ma una realtà tristemente diffusa). Oltre ad un secondo "effetto collaterale" di togliere la possibilità di scrivere polemiche o insulti liberi e stupidamente inutili sulle schede elettorali.
A voler ben vedere, si tratta di un esperimento molto interessante e che, se avrà successo, potebbe estendersi in futuro anche a votazioni provviste di tutto il valore legale del caso... e quale miglior campo sperimentale di un tipo di referendum che non produrrà effetti nell'ordinamento, ma di cui non si può non sentir parlare?

mercoledì 4 ottobre 2017

Querele addio?

L'estate appena trascorsa è passata in sordina dal punto di vista giuridico, piena di altre notizie, altri eventi ed altri pensieri più o meno leggeri e già rivolti alle ferie. Tuttavia, sotto questa coltre di silenzio, è stata approvata quella che già viene definita come riforma Orlando, una gigantesca legge di un solo articolo e ben 95 commi che hanno cambiato in maniera decisamente importante la giustizia penale italiana.
In così tanti commi la nuova Legge 103/2017, che è possibile leggere in maniera integrale sulla Gazzetta Ufficiale, tocca tante aree differenti, troppe per poter essere approfondite tutte in una volta sola senza scrivere quello che apparirebbe come un manuale breve della riforma. Pertanto qui di seguito saranno affrontate di volta in volta le novità prncipali della riforma, a cominciare da quella che ha cambiato il funzionamento e, in un certo qual senso, l'utilità delle querele.

Prima della riforma in questione, in Italia c'erano due metodi per iniziare un processo: la denuncia e la querela, dove la prima era una segnalazione alle competenti autorità di un fatto di reato e la seconda era invece la specifica richiesta di punizione da parte delo Stato di un illecito a rilevanza penale "ridotta" (ossia di un fatto che l'ordinamento non approva, ma per cui non si muove in maniera autonoma per punire il colpevole come invece avviene per esempio in caso di omicidio).
La querela aveva un'importanza anche abbastanza consistente in questi casi, perché non solo permetteva di iniziare un procedimento penale a carico del responsabile del reato, ma garantiva altresì che il processo andasse avanti fino alla sentenza o fino a quando non veniva ritirata (o rimessa, in gergo tecnico) nei casi in cui ciò era possibile e non era indicato il contrario di volta in volta dalla legge. Tralasciando i casi in cui a volte si faceva del vero e proprio stalking per fare in modo che una querela sporta venisse poi ritirata dalla vittima, risulta chiaro come la querela fosse uno strumento per dare voce e potere alle parti deboli, che subivano delle prepotenze tali da mandare qualcuno meritatamente in galera. Si poteva dire che il potere di querelare rappresentava giuridicamente il detto di "avere il coltello dalla parte del manico".
La Riforma Orlando ha però decisamente spuntato questo stesso proverbiale coltello e ne ha anche cambiato la forma con l'introduzione nel Codice Penale del nuovo art. 162 ter: tale norma prevede che, nel momento in cui viene sporta una querela che si può rimettere, il responsabile del reato possa mettere in atto delle "condotte riparatorie" consistenti in risarcimenti pecuniari, restituzioni, eliminazione delle conseguenze del reato "ove possibile" e simili. Per dovere di cronaca, queste erano delle condotte che avrebbero potuto portare al riconoscimento di un'attenuante nel futuro processo... e oggi è ancora così, ma solo per i reati perseguiti d'ufficio o a querela irrevocabile.
E una volta posta in essere questa "condotta riparatoria", la parola spetta al giudice, che ha il compito di valutarne la congruità, la proporzionalità al reato commesso e la tempestività: il querelato ha infatti un margine di tempo per effettuare questa riparazione, ossia l'udienza di apertura del dibattimento o un altro termine che può essere richiesto e concesso dal giudice nel caso di impossibilità per causa "non imputabile" al reo, che può avere quindi fino a sei mesi per effettuare la riparazione richiesta da questa nuova legge.
Una volta accertati tutti i requisiti, il giudice allora ha il potere di dichiarare l'estinzione del reato.
Questa norma ha quindi una conseguenza di non poco conto: dal momento che si estingue il reato per cui si è sporta la querela, non si chiude semplicemente il procedimento, ma di esso non ne resta la benché minima traccia e nulla finisce sul casellario giudiziale del querelato. Perché, occorre ribadirlo, se e quando un reato si estingue prima di una sentenza di condanna della Cassazione, è come se non fosse mai successo nulla. A livello giuridico, almeno...

Consci di questa conseguenza non sempre piacevole o auspicabile, alcuni potrebbero anche legittimamente pensare di non accettare alcun compenso per il danno patito (basti pensare ad esempio al danno d'immagine per la reputazione rovinata da una voce di corridoio infondata) e quindi di andare avanti con il processo. Ebbene, qui casca il proverbiale asino: è infatti espressamente previsto dal nuovo art. 162 ter c.p. che il querelato possa effettuare la propria riparazione anche tramite offerta reale come regolata dal Codice Civile.
Senza aprire una parentesi troppo grande, l'offerta reale è quel meccanismo previsto dall'art. 1208 e seguenti del Codice Civile, grazie al quale un debitore che si voglia liberare di un pagamento che il creditore non voglia accettare, può depositare un'offerta reale al creditore tramite un ufficiale giudiziario e liberarsi così a tutti gli effetti del proprio debito. Con questo stesso procedimento, un querelante che vorrebbe giustizia invece di soldi, nel caso in cui volesse rifiutare l'offerta si ritroverebbe invece obbligato ad accettare o a sperare che il giudice ritenga insufficiente il pagamento e proseguire così con il processo invece di estinguere tutto.

Questa nuova regolamentazione dell'istituto della querela ha un chiaro intento: risparmiare risorse dalla giustizia agevolando e promuovendo la risoluzione delle questioni fuori dalle aule di tribunale e prima del processo, tarpando le ali a tutti quei soggetti (effettivamente molesti) che infestano ed intasano le aule di tribunale con vertenze complessimanete poco influenti e che si potrebbero risolvere con un po' di buon senso. Piccole questioni che ora questi stessi soggetti saranno obbligati a risolvere accettando il buon senso altrui... se non vogliono loro per primi usare la querela come mezzo per forzare la mano e costringere gli altri a ripagare il dovuto.
Resta però un'incognita piuttosto grossa e per certi versi preoccupante: la nuova norma infatti usa la clausola di salvaguardia di rendere questo nuovo meccanismo inapplicabile alle fattispecie per cui la querela è irrevocabile: peccato che queste stesse fattispecie siano drammaticamente poche, troppo poche. E quelle che destano maggiore allarme sociale o che possono creare i maggiori danni a lungo termine siano escluse da questo ristretto novero: basti pensare ad esempio che lo stalking, la cui repressione è già di suo poco efficace e funzionale, è per lo più attivabile tramite una querela che si può sempre rimettere.
Di conseguenza, con questo nuovo tipo di querela, le persone danneggiate dai reati non si trovano più in mano il manico di un coltello, quanto più concretamente una sorta di cambiale in bianco: pressoché tutti sono ormai liberi di gettare fango addosso ad una persona o di perseguitarla, tanto per sfangarla basta pagare...

11/10/2017 - Aggiornamento
A seguito delle prime applicazioni della nuova legge e dei suoi effetti deleteri verso dei reati seri e non abbastanza seriamente considerati, è stato annunciato un emendamento della Riforma Orlando che dovrebbe intervenire in maniera strutturale per escludere lo stalking e altri reati dall'applicazione dell'art. 162 ter c.p.
Quando tale emendamento sarà approvato, si spera il prima possibile, si sarà finalmente messa almeno una pezza ad un'idea che già da principio avrebbe dovuto essere strutturata in maniera diversa. Come si suol dire, meglio tardi che mai.

sabato 24 giugno 2017

Due parole sulla Brexit

Lo spazio "Parliamo di Diritto" è nato, come suggerisce il titolo, per parlare di diritto e il tema della cosiddetta “Brexit” a prima vista non vi rientra in senso stretto; tuttavia la notizia e gli avvenimenti che da un anno a questa parte si sono succeduti hanno in sé diversi risvolti che con il diritto hanno a che vedere in molte maniere, tante che forse non è nemmeno possibile analizzarle tutte appropriatamente in un'unica sede e con un'unica riflessione.

Tutta questa situazione è nata da un istituto che ho già avuto modo di affrontare altre volte e che devo citare nuovamente, dal momento che è alla base di tutto: il referendum, ovvero la consultazione popolare, strumento della cosiddetta “democrazia diretta” con la quale tutti i cittadini sono chiamati ad esprimere la propria opinione in merito a determinati temi ed in alcune forme che variano a seconda del tipo di referendum indetto e a seconda del valore legalmente vincolante che sia eventualmente riconosciuto a quel determinato tipo di referendum.
In Inghilterra, com'è ormai notorio, se ne è tenuto uno per chiedere ai cittadini del Regno Unito se fossero favorevoli a rimanere o ad andarsene dall'Unione Europea. Il risultato non ha bisogno di essere specificato; quello che va invece rimarcato e che quasi nessuno sembra tenere in considerazione è un altro fatto, ovvero che il referendum sulla Brexit è un referendum di tipo consultivo. Che, tradotto in termini meno giuridico-burocratici, significa che quella espressa è un'opinione che dal punto di vista legale poteva essere scritta anche sulla carta igienica e vale praticamente poco più di un sondaggio, perché si tratta di un mezzo di espressione ufficiale del popolo e non è né commissionato da qualcuno né svolto da un'agenzia più o meno terza... ma non ha comunque valore vincolante.
Per chi se lo ricorda, in occasione del famoso secondo referendum sul nucleare, a Milano si è votato per ben altri cinque quesiti referendari limitati alla sola sfera del Comune da poco eletto: anche quelli erano referendum consultivi e indipendentemente dal risultato di ciascuno di essi, sono tutti rimasti lettera morta: non si è realizzato nulla di quanto richiesto e le intenzioni espresse dai cittadini sono rimaste inascoltate ed inattuate.

Nel caso invece del referendum inglese, nessuno a nessun livello ha mai tenuto conto del fatto che la popolazione poteva essere tranquillamente ignorata da un punto di vista legale, perché ha solo espresso su un pezzetto di carta un'opinione come chiunque può esprimerla, anche se in quel caso è stato possibile in una forma molto sintetica e senza poterne dare alcuna ragione.
Si potrà legittimamente obiettare che un'azione del genere sarebbe tradire la volontà popolare, pur ammettendo che non ha valore legale... come se la mancata attuazione del brocardo “vox populi vox dei” fosse peraltro una novità assoluta ed inaudita nel panorama non solo europeo e nella storia politica più o meno recente (basti di nuovo citare l'esempio dei referendum consultivi di Milano). Ma affrontare una questione di tale tenore significa addentrarsi in un campo più squisitamente politico e ci sono già commentatori migliori di me sul tema.
Tornando ad una discussione più marcatamente incentrata sul diritto, una fuoriuscita dall'Unione Europea è un atto che è effettivamente senza precedenti e anche se sono previste ormai delle norme che permettano l'uscita di un Paese dall'Unione (disposizione peraltro originariamente nemmeno presa in considerazione dai Trattati istitutivi delle varie formazioni europee ed aggiunta solo in tempi molto più recenti), tali norme non sono mai state concretamente attuate e sperimentate e vi è quindi il rischio che da questo atto possano discendere anche profili non previsti e al momento non adeguatamente regolati, così come molti altri profili del diritto europeo ed internazionale in genere.
Inoltre si è dato voce ad un motto spesso utilizzato con risultati piuttosto ballerini, ovvero il famoso “fare presto, fare bene”: com'è di tutta evidenza, non si tratta di una questione bagatellare che possa essere risolta con pochi sforzi ed una sostanziale pacca sulle spalle, ma è qualcosa che va normato e regolato sotto tutti i profili, perché tutti i profili vengono toccati.  E già il primo risultato in questo senso si è  visto ed avuto, con lo svolgimento di elezioni anticipate che in Gran Bretagna avrebbero dovuto generare un governo più coeso per una Brexit più stabilmente portata avanti e hanno invece portato alla formazione di un governo ancora più debole di quello sciolto anticipatamente lo scorso anno... è stato quindi fatto presto, ma sul "bene" i risultati parlano da sé.
Data la premessa, nei prossimi anni vi possono essere diversi scenari possibili e non tutti positivi, ma in ogni caso già da un anno a questa parte sono stati messi in discussione i Quattro Pilastri, le quattro libertà fondamentali che regolano il funzionamento e che stanno alla base del mercato unico e dell'Unione Europea... da un punto di vista bilaterale e reciproco, dall'Unione Europea all'Inghilterra e viceversa. In estrema sintesi, tutti i rapporti nati e basati sul diritto comunitario e sull'appartenenza all'Europa, intesa come formazione politica ed ente sovranazionale, possono essere concretamente messi in discussione e dando valore legale a ciò che ha un valore casomai politico e praticamente tutti i rapporti di diritto delle persone fisiche e giuridiche rischiano una seria revisione, se non una vera e propria rivoluzione... anche se forse non nel senso più positivo dell'espressione.
È altresì indubbio come quello inglese sia un forte gesto di rottura e le autorità si sono già affrettate a dire all'indomani del referendum che “questo non è l'inizio della fine dell'Unione Europea”.

Probabilmente è ancora troppo presto per fare pronostici in merito e gli scenari che si aprono sono vasti e sono anche tanti e variegati per ottimismo e realismo. Quello che è certo è che la data del 24 giugno 2016 segna la fine di un'epoca, coincidente con la fine dell'ideologia e dell'ideale dell'Europa politica così com'era stato figurato fino a quel momento, quella di un'ente forte, con i suoi problemi, ma sempre in espansione e da cui si poteva solo entrare per stare tutti assieme e meglio ed uscirne era un'idea tanto impensabile quanto inverosimile e catastrofica.
Non è questa la sede per prospettare ed analizzare tutti gli scenari e gli sviluppi possibili, tuttavia sorge spontanea una domanda: gli Inglesi hanno dato davvero avvio al già evocato “inizio della fine” oppure con il loro strappo hanno fatto invece un favore all'Unione Europea indicandole che ormai una sua riforma profonda (di tutti i suoi assetti politici e di ordinamento) è ormai necessaria e non più rinviabile?
Come sempre, ai posteri l'ardua sentenza.

giovedì 22 giugno 2017

Cronaca di una legittima difesa

La notizia è recente e ha suscitato qualche attenzione non solo a livello locale: a Villongo, un paesino della Val Calepio, un uomo è stato travolto ed ucciso da un'auto. Tuttavia, a differenza di tanti altri casi che hanno un analogo incipit, non si tratta dell'ennesimo incidente stradale, bensì di episodio ben diverso.
Un individuo, un carpentiere albanese pericoloso e con precedenti penali, aveva preso di mira un'impiegata del Comune di Villongo e l'aveva perseguitata fino al punto da spingere la donna a sporgere denuncia proprio ai sensi dell'art. 612 bis, ovvero appunto del tristemente noto reato di stalking. Nonostante questo atto, l'uomo è andato avanti imperterrito a perseguitare la donna, con intenzioni ben chiare e tutt'altro che piacevoli. Anzi, l'uomo si fatto addirittura più audace e negli ultimi appostamenti pare si fosse portato dietro pure un coltello, con il quale aveva anche ferito la sua vittima in altre occasioni, dimostrando in questo modo la sua spiccata pericolosità. E l'ultimo appostamento del 19 giugno non ha fatto eccezione: il persecutore si è nascosto armato di coltello fino a vedere l'oggetto della sua ossessione, l'ha sorpresa e ferita nuovamente... ma per sua fortuna, l'impiegata comunale è riuscita a salire in macchina.
L'albanese però non si è dato per vinto e l'ha raggiunta e allora la donna si è data alla fuga accendendo il motore e partendo in retromarcia, con l'uomo che si è appeso allo specchietto della macchina e non ha mollato l'inseguimento, finendo pertanto investito e ferito. La donna, accortasi dell'accaduto, ha tuttavia avuto abbastanza presenza di spirito da fermarsi e chiamare lei stessa i soccorsi, che tuttavia non sono serviti a salvare il persecutore.

A questo punto possono partire le speculazioni in termini legali.
Una prima visione superficiale parrebbe configurare un caso di investimento e del reato da poco introdotto di "omicidio stradale" per via dell'investimento procurato, a cui non si può aggiungere anche l'omissione di soccorso perché la donna non è comunque scappata e si è anzi attivata per chiamare personale più competente dal punto di vista medico.
Tuttavia questa ipotesi è sconfessata dalla ricostruzione dei fatti ed è invece maggiormente configurabile un'ipotesi di legittima difesa: non si può infatti ignorare il fatto che la donna non ha volontariamente investito l'uomo e l'albanese non era un semplice passante sulle strisce pedonali investito da un'auto troppo veloce. La situazione era anzi ben diversa, in quanto l'uomo ha messo in atto un'aggressione violenta ai danni della donna e ha quindi causato una situazione di pericolo per lei, alla quale ha reagito fuggendo. L'uomo non ha desistito di fronte alla fuga della donna e l'ha inseguita, mantenendo intatta la minaccia e la situazione di pericolo, fino a mettersi in mezzo nel percorso della macchina.
Inoltre manca qualsiasi elemento che possa lasciar supporre che la vittima sia in qualche modo "passata al contrattacco" e abbia cercato volontariamente di investire l'uomo che l'aveva perseguitata ed aggredita. Lo dimostra al contrario il fatto che la donna, mostrando molta più pietà ed umanità del suo aggressore, sia rimasta in loco e abbia chiamato i soccorsi.
In tutto questo, gli atti compiuti si possono pertanto qualificare e scusare, da parte dell'ordinamento, con la legittima difesa, in quanto la donna è stata sotto pericolo costante e duraturo e la sua reazione è stata tutt'altro che aggressiva, ma è stata anzi limitata e contenuta, volta a salvarsi la vita e a sottrarsi al pericolo, senza ricorrere ad armi o a violenza, ma cercando solo il rifugio della propria macchina, a cui l'albanese si è aggrappato irrazionalmente fino all'ultimo per continuare la propria opera ingiusta.

Questo almeno era il quadro fino a poco tempo fa: ad oggi è stata infatti avanzata da parte dei fratelli del defunto persecutore una richiesta di accertamenti, adducendo circostanze che devono essere verificate. Su tale base è stato quindi aperto un fascicolo per omicidio colposo, un atto dovuto e allo stato un passaggio meramente formale per permettere gli accertamenti che, nell'ipotesi più probabile, dovrebbero confermare quanto già emerso e chiudere la vicenda con un'archiviazione per cui nulla è dovuto a nessuno.
Purtroppo, a causa della richiesta degli altri albanesi, per mettere la parola fine a questa vicenda occorre adesso aspettare la sentenza del G.I.P.
Che alla luce della nuova riforma del diritto penale, potrebbe arrivare molto presto...

mercoledì 7 giugno 2017

A proposito della sentenza su Riina...

Quando si ha a che fare con determinati argomenti e con determinate situazioni è sempre bene trattare con i guanti ogni singolo dato ed analizzare in maniera oggettiva ogni punto, tanto più quando si viene ad esaminare casi eccellenti e delicati come quello del boss mafioso Totò Riina.
Sulla figura criminale del soggetto citato non è il caso di dilungarsi in questa sede: la storia da sola basta a dare tutte le prove e le dimostrazioni del caso. Quello di cui invece è utile e opportuno discutere, soprattutto alla luce degli articoli di clamoroso effetto mediatico usciti di recente, è la recente sentenza n. 27766 emanata lo scorso 5 giugno dalla I Sezione Penale della Corte di Cassazione.
A dare una prima occhiata ai soliti titoli roboanti che vogliono fare effetto e presa sul pubblico e alla diffusione di post e reazioni di ogni tipo, parrebbe che la Suprema Corte abbia sancito e garantito per Totò Riina il diritto a morire con dignità, la stessa dignità che è stata negata alle sue vittime dall'operato diretto o indiretto di Riina (e cercare di negare o smentire questo dato di fatto sarebbe quantomeno imbarazzante...). Tuttavia la Cassazione non ha affatto sancito questo e l'affermazione mediatica è viziata da molti errori e prese di posizione superficiali.

Innanzitutto la Cassazione è una corte di legittimità: questo significa che si occupa di giudicare le vicende sottoposte al suo giudizio solo ed esclusivamente dal punto di vista del diritto e della sua applicazione, senza entrare nel merito di nessuna vicenda e senza nemmeno avere il potere per farlo, in quanto la sua funzione è un'altra, che è appunto quella di pronunciarsi su come il diritto debba essere interpretato, a volte risolvendo questioni anche piuttosto complesse.
Chiarita questa prima fondamentale premessa, si potrà comprendere meglio quindi come non sia nemmeno possibile e anzi sia un dato addirittura falso che la Cassazione abbia potuto sancire una pronuncia di merito come quella che uno specifico condannato abbia diritto a morire in un dato modo o che abbia potuto addirittura decidere nel merito che quello stesso soggetto debba essere scarcerato. Perché, sorpresa delle sorprese, ancora non si è deciso nulla!
Che cosa quindi è successo realmente?
Per capirlo bisogna fare un passo indietro, addirittura a maggio 2016: il difensore di Riina, a seguito delle varie perizie e visite mediche, ha presentato un'istanza al Tribunale di Sorveglianza di Bologna, competente a giudicare nel merito lo svolgimento del trattamento carcerario e le varie richieste presentate dagli avvocati dei condannati nel proprio distretto di competenza. Questa istanza richiedeva ai giudici o il differimento della pena o la concessione degli arresti domiciliari a causa del conclamato stato di salute del capo mafioso, ma l'istanza stessa è stata respinta, con tanto di motivazioni inerenti sia la compatibilità tra lo stato di salute di Riina e la sua detenzione sia la sua pericolosità sociale ancora attuale. Le motivazioni tuttavia non sono state reputate così inoppugnabili e sufficienti a chiudere la questione in quella fase e l'avvocato di Riina ha quindi proposto appello in Cassazione... e la Suprema Corte, nel pieno e legittimo svolgimento delle sue funzioni, ha ritenuto che il rigetto operato dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna non fosse sufficientemente motivato e ha quindi chiesto al medesimo Tribunale di Sorveglianza di valutare meglio e più in concreto la situazione (com'è compito e competenza di tale corte fare), fornendo pertanto una motivazione più completa e precisa e, in definitiva, creando un atto completo che spieghi a tutti e al di là di ogni dubbio la propria decisione e la meritevolezza dei provvedimenti presi.
In altre parole, la Cassazione ha detto di guardare, valutare e controllare meglio quanto fatto fino ad ora riguardo al caso di Totò Riina, affinché tutto sia fatto secondo la legge e non si possa dare adito a reclami di sorta.

L'equivoco nasce dal fatto che la Cassazione, come già detto, non ha potuto sancire un principio tale per cui Riina merita una morte dignitosa, ma nel rinviare la decisione alla corte bolognese ha operato un richiamo ai principi dell'ordinamento in materia di trattamento carcerario, principi sanciti non solo dai primi articoli dell'ordinamento penitenziario, ma ancora più in alto dalla Costituzione e anche dai trattati europei, in particolare dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (la cosiddetta CEDU): principi che sanciscono la dignità e l'umanità dei trattamenti carcerari per tutti indistintamente, senza eccezioni, in quanto facenti parte del modo di essere dell'Italia e dell'Europa.
La rabbia derivante dalla possibilità che si possa parlare di diritti nei confronti di un individuo del genere, che ha commesso e fatto commettere atrocità tali da far dubitare che sia egli stesso un essere umano e che ha negato gli stessi diritti a tante altre persone, è più che comprensibile e nel corso del tempo gli saranno stati augurati i peggiori mali del mondo... ma vale davvero la pena ridursi in concreto e adesso ad essere individui dello stesso genere? Vale la pena creare un'eccezione alle leggi e alla struttura stessa dello Stato, pur per un individuo che nulla meriterebbe?
Perché fare una cosa del genere significa in sostanza buttare la Costituzione e l'ordinamento intero per ritornare ai tempi e alle ideologie del fascismo; significa andare ad adottare in tutto e per tutto la cultura e il regredito approccio americano; significa farsi sanzionare dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come mai prima d'ora e diventare lo zimbello d'Europa... e significa, in ultima istanza, gettare al vento tutti gli anni e gli sforzi fatti da tanti eroi italiani per darla vinta alla cultura e ai metodi mafiosi.
Il tutto per cosa?

mercoledì 24 maggio 2017

Mi paghi la cauzione?

Quando in televisione passa qualche frase in cui si riassume il fatto che un soggetto quasi sicuramente colpevole, dopo essere stato arrestato e non ancora giudicato sia già vergognosamente fuori di galera perché qualcuno gli ha pagato la cauzione, si sta sicuramente guardando un film o un telefilm proveniente dagli Stati Uniti d'America. E per quanto se ne possa pensare, non bisogna dimenticare un dato che è purtroppo invece molto sottovalutato e frainteso: si tratta di un instituto statiunitense ed è in vigore e valido solamente sul suolo e nell'ordinamento statiunitense, non in quello italiano.
In Italia la cauzione che evita la galera prima del processo non esiste! E la cauzione che c'è nemmeno funziona in questo modo...

La situazione ritratta e delineata poco sopra altro non è che quella fase intermedia tra l'esercizio dell'azione penale ed il processo vero e proprio, che in Italia prende il nome di fase cautelare. Quando si viene arrestati in Italia per aver commesso un crimine, si viene sottoposti entro un lasso di tempo molto ridotto ad un'udienza apposita che serve a convalidare l'arresto e a decidere le eventuali misure cautelari volte ad evitare che il soggetto (di cui appare evidente a prima vista una possibile responsabilità penale) vada in giro liberamente a commettere altri delitti o ad inquinare le prove o ancora emigri in un altro Stato.
Senza stare ad indagare in questa sede i vari provvedimenti che il giudice potrebbe adottare se decide di convalidare l'arresto, basti dire che in tale circostanza si può rischiare di finire in galera in attesa di giudizio oppure no, tenendo conto del fatto che la cosiddetta custodia cautelare in carcere viene disposta per legge solo nei casi peggiori, di maggior pericolosità sociale del soggetto in questione e quando le altre possibili misure cautelari non sono in concreto idonee a tutelare la società.

In diritto penale esiste effettivamente una cauzione, definita "di buona condotta" dall'art. 237, ma si tratta di una misura di sicurezza, che quindi con le esigenze cautelari di cui sopra non ha alcuna attinenza.
Si tratta del versamento di una somma di denaro stabilita dalla legge e per un periodo di durata decisa dal giudice per sottoporre il soggetto ad uno stimolo più efficace a tenere una buona condotta: se infatti chi versa la cauzione riga dritto e non commette alcuna azione penalmente rilevante in tutto il periodo stabilito dal giudice, la somma gli verrà integralmente restituita; se al contrario si rende responsabile anche della più piccola violazione del Codice Penale, allora la Cassa delle Ammende (presso cui si deve depositare la cauzione) incamererà definitivamente quei soldi. E visto che la legge ammette la possibilità di pagare la cauzione anche con una fideiussione o addirittura tramite ipoteca, è facile pensare che la perdita di quei soldi potrebbe essere una fonte di guai anche di natura non esattamente penale...

Quindi a questo punto sorge spontanea una domanda: esiste una cauzione diversa? E cosa può essere, se non è penale e non è quella più famosa?
Per converso, la risposta inizia dalla consapevolezza che si tratta di un istituto civile. Per maggior precisione, si tratta di un deposito che funge da garanzia per l'adempimento di un contratto e che, in caso di inadempimento, funge da risarcimento per il naufragio del contratto, ma che in caso di regolare svolgimento alla fine va restituita a chi l'ha versata.
Spesso e volentieri, a onor del vero, viene anche confusa e ritenuta sinonimo di "caparra", dato che anch'essa ha una funzione di garanzia, ma a parte il diverso regime fiscale, viene utilizzata per diverse funzioni di tutela contrattuale e in caso di inadempimento la sua quantificazione varia a seconda di quale sia la parte che recede anzitempo dal contratto.

Quindi, per rispondere alla domanda del titolo di questo pezzo, si può tranquillamente rispondere di "sì"... se si è sicuri della condotta futura della persona per cui la si paga, sia in termini di correttezza penale sia di buona condotta contrattuale.

lunedì 22 maggio 2017

Cos'è il pignoramento mobiliare?

In un periodo di crisi economica è più frequente che si verifichino fenomeni di debiti non pagati da chi ha chiesto dei prestiti o perché le previsioni di investimento non si realizzano o perché non può più permettersi di portare avanti un'attività economica ed entra quindi nell'ambito delle procedure fallimentari o per qualsiasi altro motivo possibile ed immaginabile. Ai fini del pignoramento non importa per quale scopo sia stato contratto il debito né se è stato contratto con un privato, un istituto di credito, un'agenzia di micro-credito o un altro soggetto autorizzato: ciò che conta è che il credito erogato e non restituito sia "liquido, certo ed esigibile"... ossia, in altri termini, che sia determinato (o comunque determinabile) nel suo ammontare, che abbia origine lecita e che vi siano le condizioni di legge (titolo esecutivo e atto di precetto) per poter richiedere indietro il credito in questione. I creditori quindi, per rientrare almeno in parte di quanto prestato a chi non può permettersi di onorare integralmente il proprio debito con valuta contante, deve ricorrere alle procedure dell'esecuzione forzata per poter ottenere una qualche compensazione.
Il pignoramento rappresenta la fase iniziale di questa procedura e tra le tante tipologie che esistono, quella cosiddetta mobiliare è quella più nota e più famigerata, in quanto mirata ad ottenere la soddisfazione del credito sui beni mobili del debitore.
Preliminarmente occorre sgombrare il campo da un equivoco molto frequente: con il pignoramento non si portano subito via tutti i beni al debitore, in quanto il pignoramento, a norma dell'art. 492 del Codice di Procedura Civile, altro non è che una ricerca dei beni preceduta da un'ingiunzione effettuata da un ufficiale giudiziario per avvisare il debitore di non sottrarre determinati beni dalla propria disponibilità allo scopo di preservare la garanzia reale dei creditori... anche perché fare qualcosa del genere non sarebbe semplicemente un illecito civile, bensì costituirebbe anche un reato di sottrazione o di distruzione di cose in custodia (a seconda dei casi, ovviamente). Rischiare la galera diventa quindi qualcosa di davvero inopportuno; inoltre non farsi trovare e non risultare reperibile ai creditori o all'ufficiale giudiziario non è una soluzione: una volta può capitare una situazione in cui non si possa effettivamente essere a disposizione perché il dono dell'ubiquità non ce l'ha nessuno e il teletrasporto non è stato ancora inventato... ma se gli episodi di irreperibilità si fanno frequenti, allora è anche possibile incorrere in qualche conseguenza di natura non esattamente piacevole e, come si vedrà meglio più tardi, non occorre che il debitore sia presente per iniziare la ricerca dei beni da pignorare.
L'ingiunzione, peraltro, deve essere corredata dall'invito al debitore a dichiarare la propria residenza o un proprio domicilio e deve essere sottoscritta dal debitore o, in sua assenza, da un altro soggetto che potrebbe validamente ricevere una notifica al posto suo e a cui viene consegnata una copia destinata al debitore. Occorre tuttavia fare una precisazione: se l'ingiunzione stessa già contiene anche l'indicazione di alcuni beni di proprietà del debitore, questi si considerano già pignorati nel momento della sottoscrizione.

Il ricorso al pignoramento mobiliare tuttavia deve essere attentamente considerato nella giusta ottica, perché per i creditori significa sostanzialmente ricorrere alla classica ultima spiaggia: infatti la soddisfazione sui beni mobili del debitore è quasi sempre sinonimo di soddisfazione solo parziale, in quanto i beni non vengono semplicemente presi ed attribuiti al creditore, bensì devono essere venduti ad un'asta giudiziaria e sulla cifra ricavata poi i creditori potranno rivalersi secondo il loro numero e il tipo di credito che possono vantare nei confronti del medesimo debitore. Inoltre tale sfavore è anche confermato dal fatto che l'ordinamento stesso considera e consente tale forma di pignoramento solo quando non vi siano o siano insufficienti le altre forme di soddisfazione del credito (quale ad esempio una quota dello stipendio) che potrebbero dare maggior sicurezza di rientrare del debito.
Qualora si dovesse arrivare all'estremo rimedio del pignoramento mobiliare, l'ufficiale giudiziario incaricato dovrà effettuare una ricognizione di tutti i beni mobili di proprietà del debitore e sottoporli all'ingiunzione di non spostarli, non venderli e non sottrarli in ogni caso alla propria disponibilità in attesa dello svolgimento delle procedure di esecuzione forzata. Nel corso del suo intervento, l'ufficiale giudiziario può pignorare solamente i beni specifici del debitore, ragion per cui se durante l'esecuzione dovesse essere rinvenuto qualche bene di proprietà di altre persone, tale bene estraneo al patrimonio del debitore non può essere soggetto ad alcun pignoramento... ma, a scanso di equivoci e di frodi, occorre fornire anche una dimostrazione che quei dati beni siano effettivamente di terzi, soprattutto tramite prove scritte come i contratti di vendita registrati nei pubblici registri.

Vi è tuttavia un altro limite alla pignorabilità dei beni, sancito dall'art. 514 del Codice di Procedura Civile: vi sono infatti alcuni beni che non possono essere pignorati, né per il loro valore, né per l'utilità essenziale che tali beni possono rivestire per la sopravvivenza del debitore. Si tratta nello specifico di:
  • frutti, rendite e fondi;
  • beni demaniali, patrimoniali ed indisponibili dello Stato o degli enti pubblici;
  • beni ecclesiastici ed edifici di culto;
  • oggetti sacri e di utilità all'esercizio di culto religioso (anche se vi può essere un'eccezione nel caso in cui il valore intrinseco dell'oggetto in questione superi drasticamente l'utilità suddetta);
  • fedi nuziali, letti, armadi guardaroba, biancheria, tavoli e sedie da pranzo e mobili per cucinare, salvo che abbiano un particolare valore economico, artistico o di antiquariato (i letti sono comunque esclusi anche da questa eccezione);
  • viveri e combustibili per il mantenimento per un mese del debitore e dei suoi conviventi;
  • armi ed oggetti che il debitore ha un obbligo legale di custodia;
  • decorazioni al valore;
  • corrispondenza personale e manoscritti (salvo che non siano parte di una collezione);
  • animali, siano essi da compagnia o impiegati a fini terapeutici (quelli invece detenuti a fini economici o da allevamento sono ritenuti pignorabili).
Come emerso dall'elenco di cui sopra, si tratta di beni la cui natura è per molti versi indispensabile alla vita quotidiana ed affettiva delle persone... ma le varie modifiche che si sono succedute nel tempo e la stessa giurisprudenza hanno fatto in modo di rendere meno rigido il criterio dell'indispensabilità, temperandolo con valutazioni del caso concreto.
E a tal proposito bisogna considerare che il successivo art. 515 del Codice di Procedura Civile stabilisce un'impignorabilità relativa dei beni utili per le varie attività lavorative: questi beni, come computer o scritture contabili, sono l'ultima spiaggia dell'ultima spiaggia, perché possono essere pignorati, a condizione che non vi siano altri beni mobili pignorabili. Ma in quel caso è anche molto più facile che il pignoramento possa essere efficacemente contestato e quindi di per sé è poco frequente per ragioni del tutto evidenti.

La domanda classica che ora si pone è: come si svolge il pignoramento?
La legge prevede che, una volta che il creditore abbia ottenuto i titoli necessari, l'ufficiale giudiziario debba effettuare la ricerca dei beni mobili da pignorare sia nella casa, sia nei locali nella disponibilità del debitore, sia anche addosso alla persona del debitore stesso (ovviamente rispettandone il decoro ed evitando di lasciarlo in mutande), servendosi anche eventualmente dell'aiuto della forza pubblica sia per aprire coattivamente serrature e luoghi chiusi sia per allontanare eventuali soggetti molesti che disturbino la ricerca e l'individuazione dei beni da pignorare (compreso il debitore stesso). La presenza e l'ausilio della forza pubblica permettono quindi all'ufficiale giudiziario di procedere legittimamente all'esecuzione, anche in assenza del debitore o comunque contro la sua volontà, che sono quindi del tutto ininfluenti:
Da questa ricerca l'ufficiale giudiziario deve lasciare esenti i beni impignorabili descritti ed elencati sopra e deve altresì preferire il denaro contante ed i gioielli e poi, a scalare, i beni che siano più facilmente liquidabili in base al loro valore stimabile, da lui o grazie anche ad un perito eventualmente scelto e convocato dal creditore (e il cui compenso viene liquidato dal giudice dell'esecuzione forzata). Le operazioni possono essere avviate tra le ore 7 e le 21 di tutti i giorni feriali e una volta avviate possono proseguire ad oltranza, a discrezione dell'ufficiale giudiziario, che potrebbe decidere di portarle a compimento in un'unica occasione oppure differire l'esecuzione in un secondo momento... quindi, per quanto improbabile possa essere in concreto, una ricerca di beni da pignorare potrebbe anche iniziare alle 20.59 e protrarsi fino all'alba del giorno dopo (e tanti auguri se questa avviene in inverno).
Una volta individuati i beni da pignorare nel corso della stessa visita o in un secondo accesso da effettuare entro un massimo di 30 giorni, l'ufficiale giudiziario deve redigere un apposito verbale corredato anche di fotografie o filmati che mostrino bene i vari beni individuati e il loro valore stimato e quindi avviene la già citata intimazione a non sottrarre i beni pignorati.
Conclusa la ricerca, alcuni beni vengono però effettivamente sottratti alla disponibilità del debitore: la legge infatti prescrive che denaro contante, titoli di credito e oggetti preziosi debbano essere consegnati alla cancelleria del tribunale, che provvede quanto prima alle opportune forme di deposito specificamente previsti per tali beni mobili.

Da ultimo segue una precisazione di chiusura: l'ufficiale giudiziario esegue il suo dovere su indicazione del giudice e della legge, ma il suo operato non avviene a titolo gratuito: tutte le operazioni di accesso, di notifica, di ricerca, di stima e anche di deposito e custodia pubblica dei beni pignorati hanno un costo computato in termini di spese legali... che grava interamente sul debitore!
Quindi, nel momento in cui si dovesse ricevere un atto di precetto che intimi il pagamento di un debito, le cose migliori da fare sono due: pagare immediatamente quanto dovuto oppure rivolgersi ad un avvocato esperto in procedure esecutive e studiare il modo migliore per trovare un accordo con il creditore e bloccare o guadagnare comunque tempo per non far progredire troppo l'onerosa procedura di pignoramento.

mercoledì 17 maggio 2017

La Blue Whale: un fenomeno preoccupante prima che illegale

Da alcuni mesi a questa parte si è sentito parlare in termini allegorici e quasi di nefasta "moda" della cosiddetta Blue Whale, una gara all'autoannientamento contraddistinta iconicamente dall'incisione sul braccio di una balena e ritenuta in genere una finzione surreale senza fondamento o il frutto di qualche devianza, di una recrudescenza emo-pop o di pessimi scherzi.
In realtà il fenomeno, alimentato dalla recente emersione come fenomeno mediatico, non è presente da poco tempo, bensì è una realtà molto oscura presente da diversi anni e purtroppo altro non è che una piccola parte di qualcosa di molto più complesso.
Parlare di un "gioco" del genere non è semplice e il rischio di scivolare in facili sensazionalismi è molto alto, così come è altrettanto concreto il rischio che qualsiasi trattazione possa scatenare inavvertitamente un Effetto Werther (ossia quell'effetto psicologico nato all'epoca della prima diffusione dell'opera tedesca "I dolori del giovane Werther" e in base al quale a seguito della diffusione di un'eclatante notizia di suicidio se ne scatenano molti altri a catena, soprattutto per emulazione o per identificazione con la figura e i patimenti di chi ha scelto di darsi la morte per primo). Soprattutto, cercare di ricostruire la vicenda è ad oggi un lavoro molto complesso a causa della stratificazione di notizie false accanto a quelle più attendibili, oltre che per le origini e le diffusioni di questo triste fenomeno.

A cercare di analizzare il più concretamente possibile i dati a disposizione, la traduzione ed il rimando più o meno implicito sembrano essere le informazioni più certe: il termine "blue whale" si può infatti tradurre letteralmente come "balena blu" e, soprattutto per via dello scopo del gioco in parola, rinvia al concetto del tristemente noto spiaggiamento delle balene sulle coste, che per varie ragioni si ritrovano ben lontano dalle profondità abissali in cui questi cetacei dovrebbero normalmente trovarsi; da qui dovrebbe apparire altresì evidente l'altrettanto implicito rimando alla profonda desolazione che trasmette ogni volta la visione di una balena spiaggiata, desolazione di cui i partecipanti al gioco della "Blue Whale" sono generalmente presi e che spinge a rivolgersi a questa devastante pratica.
Un altro dato abbastanza certo è che la creazione e la gestione della Blue Whale non è una novità estemporanea e non nasce da un concetto del tutto causale: sono infatti diffusi da tempo, soprattutto nel deep web, dei cosiddetti "gruppi della morte", ossia forum, chat e spazi virtuali in cui diversi individui possono parlarsi per lo più senza filtri o controlli di sorta di suicidio e della morte. A onor del vero, pare he non tutti questi gruppi siano favorevoli al suicidio e alcuni invece tentano di parlare apertamente della tematica, anche solo per avere un ascolto discreto. La mancanza di filtri e di specialisti che possano dare un parere qualificato possono però limitare l'efficacia positiva di questi gruppi e spesso dà anzi corda e possibilità anche a malintenzionati di ogni sorta per agganciare soggetti soli e che avrebbero bisogno di interagire con ben altri interlocutori.
Da qui pare che sia nata la Blue Whale e da uno di questi gruppi della morte è scaturita poi la lista delle mosse e delle istruzioni del "gioco", inizialmente diffusa su VKontakte, l'alternativa russa di Facebook. A quella lista e ai gruppi della morte più in generale, stando a fonti giornalistiche locali, sono attribuibili numerosi suicidi giovanili, alcuni dei quali anche filmati!
E da lì si sono moltiplicati i casi di diffusione delle notizie dei suicidi anche in altri Paesi e del gioco anche attraverso altri social network. Su queste diffusioni però l'attendibilità pare essere meno certa e non è dato sapere quali suicidi siano realmente collegati alla Blue Whale e quali invece siano derivati dal citato Effetto Werther o ancora nulla abbiano a che vedere con questo agghiacciante fenomeno.

Ma è proprio a leggere la lista che si scopre il risvolto più macabro ed inquietante: se si riesce a superare l'orrore della consapevolezza del fatto che il gioco prevede una serie sempre più angosciante di prove, una al giorno per cinquanta giorni, volte a lacerare e ad annullare la già fragile forza di volontà dei partecipanti ed improntate al masochismo e all'annichilimento di se stessi e del proprio animo prima della propria vita, il lato peggiore che emerge chiaramente dalla lista è il fatto che il gioco non si svolge su una base esclusivamente volontaria, bensì i partecipanti sono sempre e comunque sotto la direzione e la tutela di un "curatore".
Il lato quindi aberrante di tutta l'intera vicenda è quindi il fondato sospetto che ad orchestrare e ad indurre alla morte altre persone non sia un singolo individuo, bensì vi siano dietro altre persone. E quindi, pur in mancanza di individuazioni e riscontri, non sarebbe irragionevole ipotizzare empiricamente che dietro alla Blue Whale si celi una vera e propria associazione a delinquere finalizzata all'istigazione e all'induzione al suicidio. Quale scopo perverso possa avere tale associazione non è dato saperlo, ma data la diffusione del fenomeno e il fatto che non esiste un solo gruppo della morte l'altro dato empirico sconfortante ed allarmante è costituito dal fatto che questa associazione potrebbe non essere nemmeno l'unica.
Una notizia che pare dare credito a tale oscura ipotesi è quella dell'arresto di Philipp Budeikin, identificato come l'ideatore della Blue Whale... o, a seconda delle fonti, come uno degli ideatori del perverso gioco. Purtroppo l'incertezza regna sovrana e non paiono esservi riscontri certi, ma anche in questo caso è possibile configurare diverse ipotesi di reato a carico di questo soggetto:
  • innanzitutto sono lampanti e clamorose sia l'istigazione sia l'induzione al suicidio. La differenza non è semantica né causale: in termini di legge infatti si parla di istigazione nel momento in cui si cerca senza successo di convincere qualcuno a commettere un reato o un atto comunque vietato; si parla invece di induzione quando l'opera di persuasione riesce e si induce quindi effettivamente qualcuno a commettere un reato;
  • oltre che l'istigazione al suidicio, in Italia viene punito dallo stesso art. 580 del Codice Penale anche l'aiuto al suicidio... e il fatto che qualcuno nello svolgimento della Blue Whale controlli e inciti le persone a farsi del male potrebe facilmente essere considerato proprio aiuto al suicidio;
  • l'ultimo comma dell'articolo sopra richiamato rende punibile l'istigazione al suicidio come un omicidio se la persona che si cerca di convincere o di aiutare a suicidarsi soggetti minori di quattordici anni o soggetti privi della capacità di intendere e di volere... per qualsiasi ragione ed in qualsiasi momento tale incapacità sia venuta a configurarsi. Per cui in Italia un soggetto come Philipp Budeikin sarebbe probabilmente imputabile anche per omicidio;
  • nell'ipotesi non infondata in cui il responsabile non abbia agito da solo, si configurerebbero due possibili ipotesi: la prima è quella del concorso di persone nel reato; la seconda, già richiamata, potrebbe essere quella dell'associazione a delinquere. In mancanza di elementi ulteriori e di accertamenti, queste restano solamente ipotesi, ognuna delle quali necessita di ulteriori riscontri;
  • è stata avanzata ed adombrata l'ipotesi tale per cui l'arrestato non sia altro che un mitomane sociopatico: ebbene, anche in tal caso, se la vicenda avesse luogo in Italia, potrebbe ugualmente passare dei guai, perché si potrebbe altresì configurare un particolare reato: l'autocalunnia, consistente nell'autoaccusarsi di un reato non commesso da lui, per qualsiasi scopo.
Come più volte accennato, la presenza della Blue Whale purtroppo non è che una goccia in un mare molto denso e oscuro.
Il contrasto di questo come di altri fenomeni analoghi non passa per il sensazionalismo, per l'allarmismo o per il clamore mediatico. Passa per la consapevolezza di questo fenomeno triste, deplorevole e deprecabile e passa attraverso la vicinanza ai giovani. Passa soprattutto attraverso il tempo passato a contatto con chi passa un momento di crisi e di smarrimento in un mondo pieno di stimoli, di angherie e di incertezze.
E passa soprattutto per la consapevolezza che vale sempre la scelta della vita nei confronti di chi vorrebbe convincere che invece essa non valga nulla... perché a non  valere nulla è proprio il criminale che induce qualcun'altro a privarsi di quanto di più prezioso ed irripetibile vi sia... o che è tanto pazzo e mitomane da voler apparire come responsabile di qualcosa che non ha nulla di buono.