Com'è noto, il prossimo 22 ottobre gli abitanti delle Regioni di Lombardia e Veneto saranno chiamati ad esprimere il proprio voto in merito al quesito referendario indetto sull'autonomia... ed è da quando sono comparse le prime pubblicità in merito che si è cominciato, come al solito, a dire tutto ed il contrario di tutto.
Occorre quindi sgombare subito il campo almeno dai dubbi e dai "pettegolezzi" più frequenti che sono stati espressi in proposito:
1) il referendum del 22 ottobre non ha nulla a che vedere con il recente e controverso referendum indetto dai separastiti esteri dalla Catalogna: non si tratta infatti di una consultazione volta ad ottenere l'indipendenza di due Regioni e a fondare uno Stato autonomo ed indipendente all'interno dell'Italia. Non è insito nel quesito referendario e non avrebbe nemmeno quegli effetti: basti considerare che indipendenza ed autonimia non sono sinonimi per capire la portata di questa fandonia;
2) non si tratta di un referendum costituzionale, bensì di uno consultivo: questo aspetto non è di secondaria importanza, perché un referendum consultivo non va ad intaccare in alcun modo la Costituzione o una qualsiasi legge vigente, bensì consiste nella richiesta di un'opinione alla popolazione dotata di diritto di voto su un quesito stabilito da chi indice il referendum;
3) il referendum consultivo non ha alcun valore legale: come già esposto in occasione dell'esame dei vari tipi di referendum e della loro disciplina legale, in Italia hanno valore soltanto due tipi di consultazioni popolari, in quanto espressamente previste dalla Costituzione... e il referendum consultivo non rientra fra queste. Ne consegue quindi che, almeno a livello legale, questo referendum è equivalente ad un sondaggio, solo condotto nei seggi elettorali anziché su siti internet o per la strada.
Chiariti i punti fondamentali, resta da capire ora perché questo referendum sia stato indetto e che valenza abbia.
Nella storia recente, i referendum consultivi non sono certo una novità nemmeno in Italia, benché molti di essi siano rimasti per lo più lettera morta (per non definirli carta straccia) e dopo le rispettive votazioni non se n'è più parlato. Quello di prossima votazione rischia di non avere una sorte differente, ma in questa consultazione vi è una motivazione più sottesa rispetto alle altre: il 22 ottobre sancirà una sorta di illustre ritorno di un'iniziativa già tentata, arenata e dimenticata. Non molti infatti paiono essere al corrente dil fatto che la Regione Lombardia aveva già avviato e tentato una trattativa con il secondo Governo per ottenere una diversa distribuzione delle competenze previste dall'art. 117 della Costituzione, ma all'epoca la trattativa si arenò con la caduta di detto Governo e non venne più instaurata con quelli successivi. A quasi un decennio di distanza, ora si vuole ritentare la stessa iniziativa, ma su una base diversa.
Il vero valore di questo referendum quindi non è insito nella sua natura o nel suo (inesistente) valore legale, ma nel suo implicito significato di legittimazione popolare all'iniziativa e all'opportunità di tentare nuovamente la strada della trattativa con il governo centrale per l'attuazione del dettato costituzionale e la diversa distribuzione delle competenze amministrative.
Per quanto concerne specificamente la Lombardia, la consultazione popolare prossima ventura assume anche un'ulteriore valenza per molti versi sperimentale: la Regione è infatti finita nella bufera delle polemiche per i costi dell'acquisto di tablet per solgere il reefrendum con la nuova forma di voto elettronico... senza tenere in debito conto che questo acquisto è solo l'applicazione recente ed attuale di quanto in realtà già previsto ed approvato dalla Regione già dal 2016 con apposito Regolamento Regionale e quindi senza riflettre sul fatto che questa è una spesa "una tantum", valida anche per tutti gli analoghi referendum prossimi venturi (non a caso, il chiacchierato referendum consultivo del Sindaco di Milano sulla riapertura dei navigli previsto per aprile 2018 rientrerà in questa stessa categoria).
Questo Regolamento disciplina compiutamente le nuove modalità di voto, tramite dispositivi appositi, misure di sicurezza, criteri di valutazione e modalità di trasmissione dei risultati. E una lettura anche solo superficiale del Regolamento evidenzia un dato di fatto non molto ben calcolato: non si tratta quindi solo di fare un grande sondaggio in seggi elettorali, ma anche di sperimentare una nuova modalità di voto, per una volta tanto non ispirata al "grande modello americano", ma all'intento di correggere le storture evidenziate nelle votazioni passate e ad evitare quanto più possibile brogli e più o meno piccole variazioni ad opera di "scrutatori partigiani" (che purtroppo non sono un mito invntato per gridare ai brogli, ma una realtà tristemente diffusa). Oltre ad un secondo "effetto collaterale" di togliere la possibilità di scrivere polemiche o insulti liberi e stupidamente inutili sulle schede elettorali.
A voler ben vedere, si tratta di un esperimento molto interessante e che, se avrà successo, potebbe estendersi in futuro anche a votazioni provviste di tutto il valore legale del caso... e quale miglior campo sperimentale di un tipo di referendum che non produrrà effetti nell'ordinamento, ma di cui non si può non sentir parlare?
2) non si tratta di un referendum costituzionale, bensì di uno consultivo: questo aspetto non è di secondaria importanza, perché un referendum consultivo non va ad intaccare in alcun modo la Costituzione o una qualsiasi legge vigente, bensì consiste nella richiesta di un'opinione alla popolazione dotata di diritto di voto su un quesito stabilito da chi indice il referendum;
3) il referendum consultivo non ha alcun valore legale: come già esposto in occasione dell'esame dei vari tipi di referendum e della loro disciplina legale, in Italia hanno valore soltanto due tipi di consultazioni popolari, in quanto espressamente previste dalla Costituzione... e il referendum consultivo non rientra fra queste. Ne consegue quindi che, almeno a livello legale, questo referendum è equivalente ad un sondaggio, solo condotto nei seggi elettorali anziché su siti internet o per la strada.
Chiariti i punti fondamentali, resta da capire ora perché questo referendum sia stato indetto e che valenza abbia.
Nella storia recente, i referendum consultivi non sono certo una novità nemmeno in Italia, benché molti di essi siano rimasti per lo più lettera morta (per non definirli carta straccia) e dopo le rispettive votazioni non se n'è più parlato. Quello di prossima votazione rischia di non avere una sorte differente, ma in questa consultazione vi è una motivazione più sottesa rispetto alle altre: il 22 ottobre sancirà una sorta di illustre ritorno di un'iniziativa già tentata, arenata e dimenticata. Non molti infatti paiono essere al corrente dil fatto che la Regione Lombardia aveva già avviato e tentato una trattativa con il secondo Governo per ottenere una diversa distribuzione delle competenze previste dall'art. 117 della Costituzione, ma all'epoca la trattativa si arenò con la caduta di detto Governo e non venne più instaurata con quelli successivi. A quasi un decennio di distanza, ora si vuole ritentare la stessa iniziativa, ma su una base diversa.
Il vero valore di questo referendum quindi non è insito nella sua natura o nel suo (inesistente) valore legale, ma nel suo implicito significato di legittimazione popolare all'iniziativa e all'opportunità di tentare nuovamente la strada della trattativa con il governo centrale per l'attuazione del dettato costituzionale e la diversa distribuzione delle competenze amministrative.
Per quanto concerne specificamente la Lombardia, la consultazione popolare prossima ventura assume anche un'ulteriore valenza per molti versi sperimentale: la Regione è infatti finita nella bufera delle polemiche per i costi dell'acquisto di tablet per solgere il reefrendum con la nuova forma di voto elettronico... senza tenere in debito conto che questo acquisto è solo l'applicazione recente ed attuale di quanto in realtà già previsto ed approvato dalla Regione già dal 2016 con apposito Regolamento Regionale e quindi senza riflettre sul fatto che questa è una spesa "una tantum", valida anche per tutti gli analoghi referendum prossimi venturi (non a caso, il chiacchierato referendum consultivo del Sindaco di Milano sulla riapertura dei navigli previsto per aprile 2018 rientrerà in questa stessa categoria).
Questo Regolamento disciplina compiutamente le nuove modalità di voto, tramite dispositivi appositi, misure di sicurezza, criteri di valutazione e modalità di trasmissione dei risultati. E una lettura anche solo superficiale del Regolamento evidenzia un dato di fatto non molto ben calcolato: non si tratta quindi solo di fare un grande sondaggio in seggi elettorali, ma anche di sperimentare una nuova modalità di voto, per una volta tanto non ispirata al "grande modello americano", ma all'intento di correggere le storture evidenziate nelle votazioni passate e ad evitare quanto più possibile brogli e più o meno piccole variazioni ad opera di "scrutatori partigiani" (che purtroppo non sono un mito invntato per gridare ai brogli, ma una realtà tristemente diffusa). Oltre ad un secondo "effetto collaterale" di togliere la possibilità di scrivere polemiche o insulti liberi e stupidamente inutili sulle schede elettorali.
A voler ben vedere, si tratta di un esperimento molto interessante e che, se avrà successo, potebbe estendersi in futuro anche a votazioni provviste di tutto il valore legale del caso... e quale miglior campo sperimentale di un tipo di referendum che non produrrà effetti nell'ordinamento, ma di cui non si può non sentir parlare?
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