mercoledì 7 giugno 2017

A proposito della sentenza su Riina...

Quando si ha a che fare con determinati argomenti e con determinate situazioni è sempre bene trattare con i guanti ogni singolo dato ed analizzare in maniera oggettiva ogni punto, tanto più quando si viene ad esaminare casi eccellenti e delicati come quello del boss mafioso Totò Riina.
Sulla figura criminale del soggetto citato non è il caso di dilungarsi in questa sede: la storia da sola basta a dare tutte le prove e le dimostrazioni del caso. Quello di cui invece è utile e opportuno discutere, soprattutto alla luce degli articoli di clamoroso effetto mediatico usciti di recente, è la recente sentenza n. 27766 emanata lo scorso 5 giugno dalla I Sezione Penale della Corte di Cassazione.
A dare una prima occhiata ai soliti titoli roboanti che vogliono fare effetto e presa sul pubblico e alla diffusione di post e reazioni di ogni tipo, parrebbe che la Suprema Corte abbia sancito e garantito per Totò Riina il diritto a morire con dignità, la stessa dignità che è stata negata alle sue vittime dall'operato diretto o indiretto di Riina (e cercare di negare o smentire questo dato di fatto sarebbe quantomeno imbarazzante...). Tuttavia la Cassazione non ha affatto sancito questo e l'affermazione mediatica è viziata da molti errori e prese di posizione superficiali.

Innanzitutto la Cassazione è una corte di legittimità: questo significa che si occupa di giudicare le vicende sottoposte al suo giudizio solo ed esclusivamente dal punto di vista del diritto e della sua applicazione, senza entrare nel merito di nessuna vicenda e senza nemmeno avere il potere per farlo, in quanto la sua funzione è un'altra, che è appunto quella di pronunciarsi su come il diritto debba essere interpretato, a volte risolvendo questioni anche piuttosto complesse.
Chiarita questa prima fondamentale premessa, si potrà comprendere meglio quindi come non sia nemmeno possibile e anzi sia un dato addirittura falso che la Cassazione abbia potuto sancire una pronuncia di merito come quella che uno specifico condannato abbia diritto a morire in un dato modo o che abbia potuto addirittura decidere nel merito che quello stesso soggetto debba essere scarcerato. Perché, sorpresa delle sorprese, ancora non si è deciso nulla!
Che cosa quindi è successo realmente?
Per capirlo bisogna fare un passo indietro, addirittura a maggio 2016: il difensore di Riina, a seguito delle varie perizie e visite mediche, ha presentato un'istanza al Tribunale di Sorveglianza di Bologna, competente a giudicare nel merito lo svolgimento del trattamento carcerario e le varie richieste presentate dagli avvocati dei condannati nel proprio distretto di competenza. Questa istanza richiedeva ai giudici o il differimento della pena o la concessione degli arresti domiciliari a causa del conclamato stato di salute del capo mafioso, ma l'istanza stessa è stata respinta, con tanto di motivazioni inerenti sia la compatibilità tra lo stato di salute di Riina e la sua detenzione sia la sua pericolosità sociale ancora attuale. Le motivazioni tuttavia non sono state reputate così inoppugnabili e sufficienti a chiudere la questione in quella fase e l'avvocato di Riina ha quindi proposto appello in Cassazione... e la Suprema Corte, nel pieno e legittimo svolgimento delle sue funzioni, ha ritenuto che il rigetto operato dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna non fosse sufficientemente motivato e ha quindi chiesto al medesimo Tribunale di Sorveglianza di valutare meglio e più in concreto la situazione (com'è compito e competenza di tale corte fare), fornendo pertanto una motivazione più completa e precisa e, in definitiva, creando un atto completo che spieghi a tutti e al di là di ogni dubbio la propria decisione e la meritevolezza dei provvedimenti presi.
In altre parole, la Cassazione ha detto di guardare, valutare e controllare meglio quanto fatto fino ad ora riguardo al caso di Totò Riina, affinché tutto sia fatto secondo la legge e non si possa dare adito a reclami di sorta.

L'equivoco nasce dal fatto che la Cassazione, come già detto, non ha potuto sancire un principio tale per cui Riina merita una morte dignitosa, ma nel rinviare la decisione alla corte bolognese ha operato un richiamo ai principi dell'ordinamento in materia di trattamento carcerario, principi sanciti non solo dai primi articoli dell'ordinamento penitenziario, ma ancora più in alto dalla Costituzione e anche dai trattati europei, in particolare dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (la cosiddetta CEDU): principi che sanciscono la dignità e l'umanità dei trattamenti carcerari per tutti indistintamente, senza eccezioni, in quanto facenti parte del modo di essere dell'Italia e dell'Europa.
La rabbia derivante dalla possibilità che si possa parlare di diritti nei confronti di un individuo del genere, che ha commesso e fatto commettere atrocità tali da far dubitare che sia egli stesso un essere umano e che ha negato gli stessi diritti a tante altre persone, è più che comprensibile e nel corso del tempo gli saranno stati augurati i peggiori mali del mondo... ma vale davvero la pena ridursi in concreto e adesso ad essere individui dello stesso genere? Vale la pena creare un'eccezione alle leggi e alla struttura stessa dello Stato, pur per un individuo che nulla meriterebbe?
Perché fare una cosa del genere significa in sostanza buttare la Costituzione e l'ordinamento intero per ritornare ai tempi e alle ideologie del fascismo; significa andare ad adottare in tutto e per tutto la cultura e il regredito approccio americano; significa farsi sanzionare dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come mai prima d'ora e diventare lo zimbello d'Europa... e significa, in ultima istanza, gettare al vento tutti gli anni e gli sforzi fatti da tanti eroi italiani per darla vinta alla cultura e ai metodi mafiosi.
Il tutto per cosa?

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