sabato 13 maggio 2017

L'onere della prova

Nel mondo odierno pare essere di moda la tendenza a parlare senza riflettere e a scrivere senza prestare molta attenzione alla fondatezza di quanto viene condiviso pubblicamente, dando anzi per scontato che se qualcosa finisce in rete allora deve essere automaticamente vero perché "è di internet" oppure "lo ha detto lui/lei". Questo automatismo, segno di un mancato esercizio di qualsiasi senso critico e che dimostra l'inspiegabile ritorno del principio medievale denominato "Ipse dixit", può portare a conseguenze anche molto fastidiose quando non del tutto ingiuste ed ingiustificate: è questo ad esempio il caso di un giovane accusato di pedofilia da una bufala, un messaggio falso e diffuso in rete senza fondamento alcuno, ma che per via di questo meccanismo perverso si è ritrovato invischiato in un giro perverso a causa della semplice credulità popolare di un fatto asserito e non verificato né provato in alcun modo.

Nel mondo del diritto questo non può avvenire e vale anzi una regola generale, che dovrebbe valere anche al di fuori di esso: qualsiasi pretesa si voglia avanzare e vedere riconosciuta non può essere semplicemente affermata come vera, ma necessita sempre di un fondamento.
In tribunale non si può pensare ad esempio di chiedere un risarcimento o di mandare in galera qualcuno sulla base delle proprie sole parole, perché la controparte può validamente opporre un secco rifiuto e altrettanto facilmente smentire la validità di quanto affermato contro di lui... e si finirebbe nella classica situazione per cui vale la parola di uno contro quella dell'altro per non venire a capo di nulla. Quindi qualsiasi richiesta che si voglia portare dinnanzi ad un tribunale deve essere corredata di prove da sottoporre al vaglio del giudice per stabilire la validità o meno della pretesa e permettergli di prendere una decisione.
E queste prove devono essere fornite da chi avanza quella stessa pretesa, perché è su tale soggetto che grava il cosiddetto "onere della prova", ossia l'obbligo di dare una dimostrazione concreta di quanto da lui sostenuto.

Tale onere grava su una parte sola e come regola generale grava su chi agisce ed inizia la causa dinnanzi al tribunale, ma questa norma di sistema conosce due eccezioni.
La prima è costituita dalle presunzioni di legge: si tratta di alcuni casi in cui non serve fornire una prova perché è la legge stessa che presuppone come già verificata e provata una specifica situazione. Si tratta di casi tassativi e previsti solo in ipotesi specifiche e nei confronti delle quali a volte è ammessa la prova contraria che non si sia verificato un fatto dato per certo dalla legge... ma a volte invece la presunzione è invincibile e non c'è modo di provare il contrario: si tratta di casi poco frequenti, ma in tali ipotesi non c'è nulla da fare, se non accettare la presunzione e continuare a lavorare la causa tenendone debito conto.
La seconda eccezione alla regola dell'onere probatorio è costituita dall'inversione dell'onere della prova: si tratta di casi in cui fornire una prova di un determinato fatto è talmente complesso e/o oneroso per la parte che normalmente dovrebbe dimostrarlo, che la legge assegna alla controparte il compito di provare il contrario di quanto affermato da chi ha avanzato la pretesa originaria. Si tratta di casi rari, eccezionali e anch'essi tassativamente previsti dall'ordinamento... e che solo in tali circostanze ricorrono: al di fuori di tali specifiche ipotesi, non è mai chi agisce per primo a dover dimostrare il contrario e pretendere altresì l'inversione dell'onere della prova non è né possibile né opportuno, né in giudizio né tantomeno al di fuori delle aule di tribunale.

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