mercoledì 24 maggio 2017

Mi paghi la cauzione?

Quando in televisione passa qualche frase in cui si riassume il fatto che un soggetto quasi sicuramente colpevole, dopo essere stato arrestato e non ancora giudicato sia già vergognosamente fuori di galera perché qualcuno gli ha pagato la cauzione, si sta sicuramente guardando un film o un telefilm proveniente dagli Stati Uniti d'America. E per quanto se ne possa pensare, non bisogna dimenticare un dato che è purtroppo invece molto sottovalutato e frainteso: si tratta di un instituto statiunitense ed è in vigore e valido solamente sul suolo e nell'ordinamento statiunitense, non in quello italiano.
In Italia la cauzione che evita la galera prima del processo non esiste! E la cauzione che c'è nemmeno funziona in questo modo...

La situazione ritratta e delineata poco sopra altro non è che quella fase intermedia tra l'esercizio dell'azione penale ed il processo vero e proprio, che in Italia prende il nome di fase cautelare. Quando si viene arrestati in Italia per aver commesso un crimine, si viene sottoposti entro un lasso di tempo molto ridotto ad un'udienza apposita che serve a convalidare l'arresto e a decidere le eventuali misure cautelari volte ad evitare che il soggetto (di cui appare evidente a prima vista una possibile responsabilità penale) vada in giro liberamente a commettere altri delitti o ad inquinare le prove o ancora emigri in un altro Stato.
Senza stare ad indagare in questa sede i vari provvedimenti che il giudice potrebbe adottare se decide di convalidare l'arresto, basti dire che in tale circostanza si può rischiare di finire in galera in attesa di giudizio oppure no, tenendo conto del fatto che la cosiddetta custodia cautelare in carcere viene disposta per legge solo nei casi peggiori, di maggior pericolosità sociale del soggetto in questione e quando le altre possibili misure cautelari non sono in concreto idonee a tutelare la società.

In diritto penale esiste effettivamente una cauzione, definita "di buona condotta" dall'art. 237, ma si tratta di una misura di sicurezza, che quindi con le esigenze cautelari di cui sopra non ha alcuna attinenza.
Si tratta del versamento di una somma di denaro stabilita dalla legge e per un periodo di durata decisa dal giudice per sottoporre il soggetto ad uno stimolo più efficace a tenere una buona condotta: se infatti chi versa la cauzione riga dritto e non commette alcuna azione penalmente rilevante in tutto il periodo stabilito dal giudice, la somma gli verrà integralmente restituita; se al contrario si rende responsabile anche della più piccola violazione del Codice Penale, allora la Cassa delle Ammende (presso cui si deve depositare la cauzione) incamererà definitivamente quei soldi. E visto che la legge ammette la possibilità di pagare la cauzione anche con una fideiussione o addirittura tramite ipoteca, è facile pensare che la perdita di quei soldi potrebbe essere una fonte di guai anche di natura non esattamente penale...

Quindi a questo punto sorge spontanea una domanda: esiste una cauzione diversa? E cosa può essere, se non è penale e non è quella più famosa?
Per converso, la risposta inizia dalla consapevolezza che si tratta di un istituto civile. Per maggior precisione, si tratta di un deposito che funge da garanzia per l'adempimento di un contratto e che, in caso di inadempimento, funge da risarcimento per il naufragio del contratto, ma che in caso di regolare svolgimento alla fine va restituita a chi l'ha versata.
Spesso e volentieri, a onor del vero, viene anche confusa e ritenuta sinonimo di "caparra", dato che anch'essa ha una funzione di garanzia, ma a parte il diverso regime fiscale, viene utilizzata per diverse funzioni di tutela contrattuale e in caso di inadempimento la sua quantificazione varia a seconda di quale sia la parte che recede anzitempo dal contratto.

Quindi, per rispondere alla domanda del titolo di questo pezzo, si può tranquillamente rispondere di "sì"... se si è sicuri della condotta futura della persona per cui la si paga, sia in termini di correttezza penale sia di buona condotta contrattuale.

lunedì 22 maggio 2017

Cos'è il pignoramento mobiliare?

In un periodo di crisi economica è più frequente che si verifichino fenomeni di debiti non pagati da chi ha chiesto dei prestiti o perché le previsioni di investimento non si realizzano o perché non può più permettersi di portare avanti un'attività economica ed entra quindi nell'ambito delle procedure fallimentari o per qualsiasi altro motivo possibile ed immaginabile. Ai fini del pignoramento non importa per quale scopo sia stato contratto il debito né se è stato contratto con un privato, un istituto di credito, un'agenzia di micro-credito o un altro soggetto autorizzato: ciò che conta è che il credito erogato e non restituito sia "liquido, certo ed esigibile"... ossia, in altri termini, che sia determinato (o comunque determinabile) nel suo ammontare, che abbia origine lecita e che vi siano le condizioni di legge (titolo esecutivo e atto di precetto) per poter richiedere indietro il credito in questione. I creditori quindi, per rientrare almeno in parte di quanto prestato a chi non può permettersi di onorare integralmente il proprio debito con valuta contante, deve ricorrere alle procedure dell'esecuzione forzata per poter ottenere una qualche compensazione.
Il pignoramento rappresenta la fase iniziale di questa procedura e tra le tante tipologie che esistono, quella cosiddetta mobiliare è quella più nota e più famigerata, in quanto mirata ad ottenere la soddisfazione del credito sui beni mobili del debitore.
Preliminarmente occorre sgombrare il campo da un equivoco molto frequente: con il pignoramento non si portano subito via tutti i beni al debitore, in quanto il pignoramento, a norma dell'art. 492 del Codice di Procedura Civile, altro non è che una ricerca dei beni preceduta da un'ingiunzione effettuata da un ufficiale giudiziario per avvisare il debitore di non sottrarre determinati beni dalla propria disponibilità allo scopo di preservare la garanzia reale dei creditori... anche perché fare qualcosa del genere non sarebbe semplicemente un illecito civile, bensì costituirebbe anche un reato di sottrazione o di distruzione di cose in custodia (a seconda dei casi, ovviamente). Rischiare la galera diventa quindi qualcosa di davvero inopportuno; inoltre non farsi trovare e non risultare reperibile ai creditori o all'ufficiale giudiziario non è una soluzione: una volta può capitare una situazione in cui non si possa effettivamente essere a disposizione perché il dono dell'ubiquità non ce l'ha nessuno e il teletrasporto non è stato ancora inventato... ma se gli episodi di irreperibilità si fanno frequenti, allora è anche possibile incorrere in qualche conseguenza di natura non esattamente piacevole e, come si vedrà meglio più tardi, non occorre che il debitore sia presente per iniziare la ricerca dei beni da pignorare.
L'ingiunzione, peraltro, deve essere corredata dall'invito al debitore a dichiarare la propria residenza o un proprio domicilio e deve essere sottoscritta dal debitore o, in sua assenza, da un altro soggetto che potrebbe validamente ricevere una notifica al posto suo e a cui viene consegnata una copia destinata al debitore. Occorre tuttavia fare una precisazione: se l'ingiunzione stessa già contiene anche l'indicazione di alcuni beni di proprietà del debitore, questi si considerano già pignorati nel momento della sottoscrizione.

Il ricorso al pignoramento mobiliare tuttavia deve essere attentamente considerato nella giusta ottica, perché per i creditori significa sostanzialmente ricorrere alla classica ultima spiaggia: infatti la soddisfazione sui beni mobili del debitore è quasi sempre sinonimo di soddisfazione solo parziale, in quanto i beni non vengono semplicemente presi ed attribuiti al creditore, bensì devono essere venduti ad un'asta giudiziaria e sulla cifra ricavata poi i creditori potranno rivalersi secondo il loro numero e il tipo di credito che possono vantare nei confronti del medesimo debitore. Inoltre tale sfavore è anche confermato dal fatto che l'ordinamento stesso considera e consente tale forma di pignoramento solo quando non vi siano o siano insufficienti le altre forme di soddisfazione del credito (quale ad esempio una quota dello stipendio) che potrebbero dare maggior sicurezza di rientrare del debito.
Qualora si dovesse arrivare all'estremo rimedio del pignoramento mobiliare, l'ufficiale giudiziario incaricato dovrà effettuare una ricognizione di tutti i beni mobili di proprietà del debitore e sottoporli all'ingiunzione di non spostarli, non venderli e non sottrarli in ogni caso alla propria disponibilità in attesa dello svolgimento delle procedure di esecuzione forzata. Nel corso del suo intervento, l'ufficiale giudiziario può pignorare solamente i beni specifici del debitore, ragion per cui se durante l'esecuzione dovesse essere rinvenuto qualche bene di proprietà di altre persone, tale bene estraneo al patrimonio del debitore non può essere soggetto ad alcun pignoramento... ma, a scanso di equivoci e di frodi, occorre fornire anche una dimostrazione che quei dati beni siano effettivamente di terzi, soprattutto tramite prove scritte come i contratti di vendita registrati nei pubblici registri.

Vi è tuttavia un altro limite alla pignorabilità dei beni, sancito dall'art. 514 del Codice di Procedura Civile: vi sono infatti alcuni beni che non possono essere pignorati, né per il loro valore, né per l'utilità essenziale che tali beni possono rivestire per la sopravvivenza del debitore. Si tratta nello specifico di:
  • frutti, rendite e fondi;
  • beni demaniali, patrimoniali ed indisponibili dello Stato o degli enti pubblici;
  • beni ecclesiastici ed edifici di culto;
  • oggetti sacri e di utilità all'esercizio di culto religioso (anche se vi può essere un'eccezione nel caso in cui il valore intrinseco dell'oggetto in questione superi drasticamente l'utilità suddetta);
  • fedi nuziali, letti, armadi guardaroba, biancheria, tavoli e sedie da pranzo e mobili per cucinare, salvo che abbiano un particolare valore economico, artistico o di antiquariato (i letti sono comunque esclusi anche da questa eccezione);
  • viveri e combustibili per il mantenimento per un mese del debitore e dei suoi conviventi;
  • armi ed oggetti che il debitore ha un obbligo legale di custodia;
  • decorazioni al valore;
  • corrispondenza personale e manoscritti (salvo che non siano parte di una collezione);
  • animali, siano essi da compagnia o impiegati a fini terapeutici (quelli invece detenuti a fini economici o da allevamento sono ritenuti pignorabili).
Come emerso dall'elenco di cui sopra, si tratta di beni la cui natura è per molti versi indispensabile alla vita quotidiana ed affettiva delle persone... ma le varie modifiche che si sono succedute nel tempo e la stessa giurisprudenza hanno fatto in modo di rendere meno rigido il criterio dell'indispensabilità, temperandolo con valutazioni del caso concreto.
E a tal proposito bisogna considerare che il successivo art. 515 del Codice di Procedura Civile stabilisce un'impignorabilità relativa dei beni utili per le varie attività lavorative: questi beni, come computer o scritture contabili, sono l'ultima spiaggia dell'ultima spiaggia, perché possono essere pignorati, a condizione che non vi siano altri beni mobili pignorabili. Ma in quel caso è anche molto più facile che il pignoramento possa essere efficacemente contestato e quindi di per sé è poco frequente per ragioni del tutto evidenti.

La domanda classica che ora si pone è: come si svolge il pignoramento?
La legge prevede che, una volta che il creditore abbia ottenuto i titoli necessari, l'ufficiale giudiziario debba effettuare la ricerca dei beni mobili da pignorare sia nella casa, sia nei locali nella disponibilità del debitore, sia anche addosso alla persona del debitore stesso (ovviamente rispettandone il decoro ed evitando di lasciarlo in mutande), servendosi anche eventualmente dell'aiuto della forza pubblica sia per aprire coattivamente serrature e luoghi chiusi sia per allontanare eventuali soggetti molesti che disturbino la ricerca e l'individuazione dei beni da pignorare (compreso il debitore stesso). La presenza e l'ausilio della forza pubblica permettono quindi all'ufficiale giudiziario di procedere legittimamente all'esecuzione, anche in assenza del debitore o comunque contro la sua volontà, che sono quindi del tutto ininfluenti:
Da questa ricerca l'ufficiale giudiziario deve lasciare esenti i beni impignorabili descritti ed elencati sopra e deve altresì preferire il denaro contante ed i gioielli e poi, a scalare, i beni che siano più facilmente liquidabili in base al loro valore stimabile, da lui o grazie anche ad un perito eventualmente scelto e convocato dal creditore (e il cui compenso viene liquidato dal giudice dell'esecuzione forzata). Le operazioni possono essere avviate tra le ore 7 e le 21 di tutti i giorni feriali e una volta avviate possono proseguire ad oltranza, a discrezione dell'ufficiale giudiziario, che potrebbe decidere di portarle a compimento in un'unica occasione oppure differire l'esecuzione in un secondo momento... quindi, per quanto improbabile possa essere in concreto, una ricerca di beni da pignorare potrebbe anche iniziare alle 20.59 e protrarsi fino all'alba del giorno dopo (e tanti auguri se questa avviene in inverno).
Una volta individuati i beni da pignorare nel corso della stessa visita o in un secondo accesso da effettuare entro un massimo di 30 giorni, l'ufficiale giudiziario deve redigere un apposito verbale corredato anche di fotografie o filmati che mostrino bene i vari beni individuati e il loro valore stimato e quindi avviene la già citata intimazione a non sottrarre i beni pignorati.
Conclusa la ricerca, alcuni beni vengono però effettivamente sottratti alla disponibilità del debitore: la legge infatti prescrive che denaro contante, titoli di credito e oggetti preziosi debbano essere consegnati alla cancelleria del tribunale, che provvede quanto prima alle opportune forme di deposito specificamente previsti per tali beni mobili.

Da ultimo segue una precisazione di chiusura: l'ufficiale giudiziario esegue il suo dovere su indicazione del giudice e della legge, ma il suo operato non avviene a titolo gratuito: tutte le operazioni di accesso, di notifica, di ricerca, di stima e anche di deposito e custodia pubblica dei beni pignorati hanno un costo computato in termini di spese legali... che grava interamente sul debitore!
Quindi, nel momento in cui si dovesse ricevere un atto di precetto che intimi il pagamento di un debito, le cose migliori da fare sono due: pagare immediatamente quanto dovuto oppure rivolgersi ad un avvocato esperto in procedure esecutive e studiare il modo migliore per trovare un accordo con il creditore e bloccare o guadagnare comunque tempo per non far progredire troppo l'onerosa procedura di pignoramento.

mercoledì 17 maggio 2017

La Blue Whale: un fenomeno preoccupante prima che illegale

Da alcuni mesi a questa parte si è sentito parlare in termini allegorici e quasi di nefasta "moda" della cosiddetta Blue Whale, una gara all'autoannientamento contraddistinta iconicamente dall'incisione sul braccio di una balena e ritenuta in genere una finzione surreale senza fondamento o il frutto di qualche devianza, di una recrudescenza emo-pop o di pessimi scherzi.
In realtà il fenomeno, alimentato dalla recente emersione come fenomeno mediatico, non è presente da poco tempo, bensì è una realtà molto oscura presente da diversi anni e purtroppo altro non è che una piccola parte di qualcosa di molto più complesso.
Parlare di un "gioco" del genere non è semplice e il rischio di scivolare in facili sensazionalismi è molto alto, così come è altrettanto concreto il rischio che qualsiasi trattazione possa scatenare inavvertitamente un Effetto Werther (ossia quell'effetto psicologico nato all'epoca della prima diffusione dell'opera tedesca "I dolori del giovane Werther" e in base al quale a seguito della diffusione di un'eclatante notizia di suicidio se ne scatenano molti altri a catena, soprattutto per emulazione o per identificazione con la figura e i patimenti di chi ha scelto di darsi la morte per primo). Soprattutto, cercare di ricostruire la vicenda è ad oggi un lavoro molto complesso a causa della stratificazione di notizie false accanto a quelle più attendibili, oltre che per le origini e le diffusioni di questo triste fenomeno.

A cercare di analizzare il più concretamente possibile i dati a disposizione, la traduzione ed il rimando più o meno implicito sembrano essere le informazioni più certe: il termine "blue whale" si può infatti tradurre letteralmente come "balena blu" e, soprattutto per via dello scopo del gioco in parola, rinvia al concetto del tristemente noto spiaggiamento delle balene sulle coste, che per varie ragioni si ritrovano ben lontano dalle profondità abissali in cui questi cetacei dovrebbero normalmente trovarsi; da qui dovrebbe apparire altresì evidente l'altrettanto implicito rimando alla profonda desolazione che trasmette ogni volta la visione di una balena spiaggiata, desolazione di cui i partecipanti al gioco della "Blue Whale" sono generalmente presi e che spinge a rivolgersi a questa devastante pratica.
Un altro dato abbastanza certo è che la creazione e la gestione della Blue Whale non è una novità estemporanea e non nasce da un concetto del tutto causale: sono infatti diffusi da tempo, soprattutto nel deep web, dei cosiddetti "gruppi della morte", ossia forum, chat e spazi virtuali in cui diversi individui possono parlarsi per lo più senza filtri o controlli di sorta di suicidio e della morte. A onor del vero, pare he non tutti questi gruppi siano favorevoli al suicidio e alcuni invece tentano di parlare apertamente della tematica, anche solo per avere un ascolto discreto. La mancanza di filtri e di specialisti che possano dare un parere qualificato possono però limitare l'efficacia positiva di questi gruppi e spesso dà anzi corda e possibilità anche a malintenzionati di ogni sorta per agganciare soggetti soli e che avrebbero bisogno di interagire con ben altri interlocutori.
Da qui pare che sia nata la Blue Whale e da uno di questi gruppi della morte è scaturita poi la lista delle mosse e delle istruzioni del "gioco", inizialmente diffusa su VKontakte, l'alternativa russa di Facebook. A quella lista e ai gruppi della morte più in generale, stando a fonti giornalistiche locali, sono attribuibili numerosi suicidi giovanili, alcuni dei quali anche filmati!
E da lì si sono moltiplicati i casi di diffusione delle notizie dei suicidi anche in altri Paesi e del gioco anche attraverso altri social network. Su queste diffusioni però l'attendibilità pare essere meno certa e non è dato sapere quali suicidi siano realmente collegati alla Blue Whale e quali invece siano derivati dal citato Effetto Werther o ancora nulla abbiano a che vedere con questo agghiacciante fenomeno.

Ma è proprio a leggere la lista che si scopre il risvolto più macabro ed inquietante: se si riesce a superare l'orrore della consapevolezza del fatto che il gioco prevede una serie sempre più angosciante di prove, una al giorno per cinquanta giorni, volte a lacerare e ad annullare la già fragile forza di volontà dei partecipanti ed improntate al masochismo e all'annichilimento di se stessi e del proprio animo prima della propria vita, il lato peggiore che emerge chiaramente dalla lista è il fatto che il gioco non si svolge su una base esclusivamente volontaria, bensì i partecipanti sono sempre e comunque sotto la direzione e la tutela di un "curatore".
Il lato quindi aberrante di tutta l'intera vicenda è quindi il fondato sospetto che ad orchestrare e ad indurre alla morte altre persone non sia un singolo individuo, bensì vi siano dietro altre persone. E quindi, pur in mancanza di individuazioni e riscontri, non sarebbe irragionevole ipotizzare empiricamente che dietro alla Blue Whale si celi una vera e propria associazione a delinquere finalizzata all'istigazione e all'induzione al suicidio. Quale scopo perverso possa avere tale associazione non è dato saperlo, ma data la diffusione del fenomeno e il fatto che non esiste un solo gruppo della morte l'altro dato empirico sconfortante ed allarmante è costituito dal fatto che questa associazione potrebbe non essere nemmeno l'unica.
Una notizia che pare dare credito a tale oscura ipotesi è quella dell'arresto di Philipp Budeikin, identificato come l'ideatore della Blue Whale... o, a seconda delle fonti, come uno degli ideatori del perverso gioco. Purtroppo l'incertezza regna sovrana e non paiono esservi riscontri certi, ma anche in questo caso è possibile configurare diverse ipotesi di reato a carico di questo soggetto:
  • innanzitutto sono lampanti e clamorose sia l'istigazione sia l'induzione al suicidio. La differenza non è semantica né causale: in termini di legge infatti si parla di istigazione nel momento in cui si cerca senza successo di convincere qualcuno a commettere un reato o un atto comunque vietato; si parla invece di induzione quando l'opera di persuasione riesce e si induce quindi effettivamente qualcuno a commettere un reato;
  • oltre che l'istigazione al suidicio, in Italia viene punito dallo stesso art. 580 del Codice Penale anche l'aiuto al suicidio... e il fatto che qualcuno nello svolgimento della Blue Whale controlli e inciti le persone a farsi del male potrebe facilmente essere considerato proprio aiuto al suicidio;
  • l'ultimo comma dell'articolo sopra richiamato rende punibile l'istigazione al suicidio come un omicidio se la persona che si cerca di convincere o di aiutare a suicidarsi soggetti minori di quattordici anni o soggetti privi della capacità di intendere e di volere... per qualsiasi ragione ed in qualsiasi momento tale incapacità sia venuta a configurarsi. Per cui in Italia un soggetto come Philipp Budeikin sarebbe probabilmente imputabile anche per omicidio;
  • nell'ipotesi non infondata in cui il responsabile non abbia agito da solo, si configurerebbero due possibili ipotesi: la prima è quella del concorso di persone nel reato; la seconda, già richiamata, potrebbe essere quella dell'associazione a delinquere. In mancanza di elementi ulteriori e di accertamenti, queste restano solamente ipotesi, ognuna delle quali necessita di ulteriori riscontri;
  • è stata avanzata ed adombrata l'ipotesi tale per cui l'arrestato non sia altro che un mitomane sociopatico: ebbene, anche in tal caso, se la vicenda avesse luogo in Italia, potrebbe ugualmente passare dei guai, perché si potrebbe altresì configurare un particolare reato: l'autocalunnia, consistente nell'autoaccusarsi di un reato non commesso da lui, per qualsiasi scopo.
Come più volte accennato, la presenza della Blue Whale purtroppo non è che una goccia in un mare molto denso e oscuro.
Il contrasto di questo come di altri fenomeni analoghi non passa per il sensazionalismo, per l'allarmismo o per il clamore mediatico. Passa per la consapevolezza di questo fenomeno triste, deplorevole e deprecabile e passa attraverso la vicinanza ai giovani. Passa soprattutto attraverso il tempo passato a contatto con chi passa un momento di crisi e di smarrimento in un mondo pieno di stimoli, di angherie e di incertezze.
E passa soprattutto per la consapevolezza che vale sempre la scelta della vita nei confronti di chi vorrebbe convincere che invece essa non valga nulla... perché a non  valere nulla è proprio il criminale che induce qualcun'altro a privarsi di quanto di più prezioso ed irripetibile vi sia... o che è tanto pazzo e mitomane da voler apparire come responsabile di qualcosa che non ha nulla di buono.

martedì 16 maggio 2017

Il movimento "no tap" tra illegalità e sindrome nimby

Già in altre occasioni si era parlato dei caratteri sempre più manifestamente illegali della protesta e dell'operato del cosiddetto movimento "no tap" ed in tali occasioni era sembrato che si fosse toccato il fondo dell'irrazionale e dell'illecito.
Purtroppo così non è stato e il movimento suddetto è tornato a far parlare di sé in negativo, quando ha cercato di impedire, per fortuna senza riuscirci, il trasporto di undici ulivi già espiantati e che necessitavano di un ricovero in una serra attrezzata per prevenire il contagio da parte potenziali agenti fitopatogeni, che potrebbero invece rendere impossibile o addirittura pericoloso per l'ambiente qualsiasi tentativo di ricollocare le stesse piante.

Come già rilevato in altre sedi, una condotta tanto ottusa costituisce un inutile dispendio di risorse e di forze pubbliche per garantire la sicurezza dei lavori di un impianto regolarmente e legalmente avviato sulla base di accordi internazionali; lo stesso atteggiamento è anche un pericolo per il bilancio e la stabilità economica del Paese, a causa delle ripercussioni a cui l'Italia sarebbe tenuta in caso di mancato adempito degli accordi stessi, peraltro per colpa della cecità ideologica di uno sparuto manipolo che ha sollevato un polverone per nulla; è inoltre una condotta che può potenzialmente configurare e ha già generato alcuni illeciti di varia natura, tra i quali spiccano per evidenza l'occupazione di suolo pubblico, la violenza privata, la resistenza a pubblico ufficiale, l'incendio doloso e il danneggiamento aggravato.
Un atteggiamento che non trova più alcuna giusitificazione: l'ideologica motivazione ecologista si scontra infatti con il fatto che proprio il Consorzio TAP è l'unico che ha concretamente fatto qualcosa per tutelare gli ulivi e li sta anzi curando e tutelando con serre ed impianti appositi per cercare di salvarli, mentre i tentativi di fermare il trasporto di ulivi già espiantati è tutt'altro che salutare per le piante... e ciò dovrebbe essere di tutta evidenza, soprattutto in una terra che espianta, sposta e ricolloca decine di migliaia di ulivi ogni anno.
La contestazione dell'irregolarità o dell'illegalità della TAP è stata altresì ampiamente smentita sia dal diritto internazionale sia dalla magistratura italiana: occorre infatti ricordare che tutto il progetto è stato attentamente visionato ed approvato dalle specifiche commissioni tecniche, prima di essere controllato e vagliato in ogni minimo paragrafo dalla giustizia amministrativa alla luce dei vari ricorsi... con il ben noto risultato che ogni contestazione è stata respinta al mittente, a volte per manifesta infondatezza dei ricorsi. E lanciare accuse di corruzione della magistratura e della polizia in favore della tap non è solo ridicolo, ma potrebbe anche integrare ipotesi di diffamazione aggravata.
Il presunto danno al turismo poi è altresì una motivazione poco credibile: quante probabilità ci sono infatti che un'area piena di ulivi secolari sia oggetto di meta turistica diffusa ed ampiamente visitata? Fino a prova contraria, l'area del cantiere non era neanche nota al grande pubblico prima dell'inizio della vicenda del metanodotto. Inoltre tutto il "grande danno" si sarebbe semplicemente evitato se i lavori non fossero stati regolarmente, sistematicamente ed illecitamente intralciati e rallentati fino a questo punto: senza il gran polverone di una sparuta minoranza piena di ideologia e povera di motivazioni concrete, tutto sarebbe stato infatti già risolto e probabilmente gli ulivi ora sarebbero già tornati nelle loro sedi.

L'atteggiamento che emerge dall''intera vicenda e dall'atteggiamento di cieca opposizione aprioristica a qualsiasi sviluppo dell'opera. Un'opposizione che manifesta appieno i caratteri patologici della cosiddetta "sindrome NIMBY", ossia quel complesso psicologico, acronimo dell'inglese "Not In My Back Yard" (traducibile con "non nel mio cortile"), per cui un'opera di pubblico interesse e di grande portata, per quanto possa essere anche riconosciuta come utile e necessaria, non deve essere costruita in una determinata zona in favore di una tutela ambientale a tutti i costi. Si tratta di un'opposizione che in un primo momento può essere lecita non solo dal punto di vista psicologico, ma che poi perde di significato di fronte a piani ed evidenze concrete, anche a tutela dell'ambiente. Molto spesso anzi, soprattutto in Italia, questa stessa sindrome presenta il rischio concreto, come in questo caso purtroppo verificatosi, di manipolazione della popolazione con la diffusione ad arte di notizie false e tendenziose per screditare a tutti i costi l'opera e chi la realizza, notizie che in sé e per sé appaiono a volte poco o per nulla fondate, ma che per qualche oscura ragione paiono fare presa nell'opinione pubblica, complice anche una sistematica disinformazione dell'opinione pubblica.
A questo punto non resta che augurarsi che i no tap riescano ad aprire gli occhi e a capire che stanno danneggiando se stessi e l'Italia, prima che vengano legittimamente arrestati per i già troppi reati commessi.

sabato 13 maggio 2017

L'onere della prova

Nel mondo odierno pare essere di moda la tendenza a parlare senza riflettere e a scrivere senza prestare molta attenzione alla fondatezza di quanto viene condiviso pubblicamente, dando anzi per scontato che se qualcosa finisce in rete allora deve essere automaticamente vero perché "è di internet" oppure "lo ha detto lui/lei". Questo automatismo, segno di un mancato esercizio di qualsiasi senso critico e che dimostra l'inspiegabile ritorno del principio medievale denominato "Ipse dixit", può portare a conseguenze anche molto fastidiose quando non del tutto ingiuste ed ingiustificate: è questo ad esempio il caso di un giovane accusato di pedofilia da una bufala, un messaggio falso e diffuso in rete senza fondamento alcuno, ma che per via di questo meccanismo perverso si è ritrovato invischiato in un giro perverso a causa della semplice credulità popolare di un fatto asserito e non verificato né provato in alcun modo.

Nel mondo del diritto questo non può avvenire e vale anzi una regola generale, che dovrebbe valere anche al di fuori di esso: qualsiasi pretesa si voglia avanzare e vedere riconosciuta non può essere semplicemente affermata come vera, ma necessita sempre di un fondamento.
In tribunale non si può pensare ad esempio di chiedere un risarcimento o di mandare in galera qualcuno sulla base delle proprie sole parole, perché la controparte può validamente opporre un secco rifiuto e altrettanto facilmente smentire la validità di quanto affermato contro di lui... e si finirebbe nella classica situazione per cui vale la parola di uno contro quella dell'altro per non venire a capo di nulla. Quindi qualsiasi richiesta che si voglia portare dinnanzi ad un tribunale deve essere corredata di prove da sottoporre al vaglio del giudice per stabilire la validità o meno della pretesa e permettergli di prendere una decisione.
E queste prove devono essere fornite da chi avanza quella stessa pretesa, perché è su tale soggetto che grava il cosiddetto "onere della prova", ossia l'obbligo di dare una dimostrazione concreta di quanto da lui sostenuto.

Tale onere grava su una parte sola e come regola generale grava su chi agisce ed inizia la causa dinnanzi al tribunale, ma questa norma di sistema conosce due eccezioni.
La prima è costituita dalle presunzioni di legge: si tratta di alcuni casi in cui non serve fornire una prova perché è la legge stessa che presuppone come già verificata e provata una specifica situazione. Si tratta di casi tassativi e previsti solo in ipotesi specifiche e nei confronti delle quali a volte è ammessa la prova contraria che non si sia verificato un fatto dato per certo dalla legge... ma a volte invece la presunzione è invincibile e non c'è modo di provare il contrario: si tratta di casi poco frequenti, ma in tali ipotesi non c'è nulla da fare, se non accettare la presunzione e continuare a lavorare la causa tenendone debito conto.
La seconda eccezione alla regola dell'onere probatorio è costituita dall'inversione dell'onere della prova: si tratta di casi in cui fornire una prova di un determinato fatto è talmente complesso e/o oneroso per la parte che normalmente dovrebbe dimostrarlo, che la legge assegna alla controparte il compito di provare il contrario di quanto affermato da chi ha avanzato la pretesa originaria. Si tratta di casi rari, eccezionali e anch'essi tassativamente previsti dall'ordinamento... e che solo in tali circostanze ricorrono: al di fuori di tali specifiche ipotesi, non è mai chi agisce per primo a dover dimostrare il contrario e pretendere altresì l'inversione dell'onere della prova non è né possibile né opportuno, né in giudizio né tantomeno al di fuori delle aule di tribunale.

lunedì 8 maggio 2017

La calunnia: cos'è veramente?

Nel mondo del diritto vi sono diversi falsi sinonimi che vigono nell'uso del linguaggio corrente. Uno di essi è già stato esaminato in tema di diffamazione, ragion per cui pare utile ora esaminare l'altro vocabolo usato come sinonimo: la calunnia.
Ancora una volta si richiama per completezza l'approfodimento che era stato dedicato alla distinzione tra i due termini nella loro corretta accezione nel Codice Penale.


A differenza del falso sinonimo, il reato di calunnia non tutela il buon nome o l'onorabilità della singola persona investita da maldicenze, bensì ad essere garantito è il buon funzionamento della giustizia e soprattutto l'interessa che essa non venga mossa inutilmente o, peggio ancora, a danno di un innocente.
Come stabilisce infatti l'art. 368 del Codice Penale, viene punito chiunque presenti un atto che faccia partire indagini o fabbrichi addirittura prove false nei confronti di una persona che in realtà non ha commesso alcun reato e della cui innocenza il querelante sia consapevole. La norma citata modula anche la pena e prevede diversi scaglioni a seconda di quanto sia grave la condotta e quanto sia progredita l'ingiustizia: può infatti succedere purtroppo che non ci accorga dell'errore e della meschina falsità attuata prima che si sia verificata una condanna in processo nei confronti dell'innocente... ma nel momento in cui la verità viene a galla, le conseguenze per chi ha mandato ingiustamente qualcuno in prigione non saranno molto leggere.
Appare quindi ovvio, come statuisce anche l'art. 370, che per i casi di minore gravità che riguardano delle contravvenzioni e non dei reati, la pena per una calunnia sarà molto minore.
Analoga ragione muove l'ordinamento nel successivo art. 369 quando regola l'autocalunnia, ossia quel reato per cui una persona che si autoaccusa di un reato che non ha commesso: impedire di intralciare le indagini o di far avviare addirittura un procedimento penale senza un reale motivo... o meglio, senza un motivo valido agli occhi della giustizia.

Quando a ciò non si aggiunge una possibile imputazione per favoreggiamento, il reato di calunnia scatta nel momento stesso in cui vengono avviate delle indagini che poi dimostrano la totale estraneità ai fatti di una persona, come avvenuto in alcuni casi anche recenti: basti solo pensare al coinvolgimento del tutto infondato di Patrick Lumumba nel caso dell'omicidio di Meredith Kercher da parte di Amanda Knox, condannata tra le altre imputazioni anche per calunnia, o il caso di alcune maestre d'asilo finite nei guai ingiustamente per colpa di genitori che hanno provato a cavalcare l'onda dei recenti scandali delle maestre che maltrattano i bambini.
Vi è ancora un aspetto fondamentale da osservare: a differenza della diffamazione, non serve alcuna querela di parte affinché l'ordinamento proceda contro un calunniatore: l'ordinamento ritiene infatti più grave la condotta di chi turbi il buon funzionamento della giustizia e quindi non sottopone la procedibilità di questo reato alla condizione di una richiesta di punizione da parte di chi magari vorrebbe solo (legittimamente) dimenticare la brutta vicenda subita.
La giustizia tuttavia non lascia impunita una violazione del genere.

sabato 6 maggio 2017

I referendum: cosa sono e quali valgono

Ogni volta che si parla di referendum, si fa una confusione tremenda tra i tipi di referendum esistenti e quelli validi in Italia, le norme che li regolano e le condizioni di validità degli stessi.

Il referendum nella sua essenza si può definire come la consultazione del corpo elettorale affinché tutti coloro che godono dei diritti politici e hanno capacità elettorale votino non per eleggere i propri rappresentanti, bensì per modificare la legge. In Italia ciò vale solamente per le norme che siano state approvate ed emanate dal Parlamento, mentre in altri ordinamenti il popolo si può esprimere anche nel caso in cui le leggi non siano state ancora promulgate o addirittura per proporle, di solito mediante una scelta tra un "sì" ed un "no".
I referendum esistenti si possono elencare nei seguenti tipi:
  • propositivi: questo tipo di referendum serve a proporre una nuova legge agli organi legislativi da parte del popolo;
  • consultivi: si tratta di un referendum per avere il parere della popolazione votante riguardo ad uno specifico tema;
  • indipendentisti: si tratta di referendum molto particolari che richiedono al popolo con il diritto di voto se il loro territorio debba diventare indipendente;
  • confermativi: altresì detti referendum costituzionali perché utilizzati in tale materia, si tratta della richiesta al corpo elettorale di confermare l'operato del Parlamento nell'emanazione di norme costituzionali e quindi della massima importanza;
  • abrogativi: i più comuni, sono quei referendum che richiedono al corpo elettorale se conservare o eliminare una determinata norma dall'ordinamento.
Tuttavia in Italia non tutti i tipi di referendum appena delineati sono validi: solo gli ultimi due hanno infatti espresso riconoscimento nella Costituzione, mentre gli altri non sono previsti o sono altresì vietati. Su entrambi i tipi di referendum in vigore in Italia, sono già stati dedicati degli interventi descrittivi che vengono qui seguito riproposti e integralmente richiamati.



Quello che probabilmente non è chiaro a molti commentatori e anche a molti amministratori è il fatto che per per quanto riguarda i referendum propositivi, consultivi e per l'indipendenza, nessuno di questi ha un valore giuridico che superi quello di un mero sondaggio.

Andando con ordine, i referendum propositivi in sé e per sé consistono nella possibilità di indicare all'organo legislativo su quale tema dovrebbero muoversi e quale esigenza sia maggiormente sentita dalla popolazione, ma avrebbero un senso nel momento in cui non vi sia la possibilità da parte del popolo di proporre in autonomia delle proprie leggi scritte ed articolate come tali.
Invece questa possibilità esiste ed è stata anche storicamente esercitata, anche se purtroppo purtroppo non si è mai riusciti ad andare fino in fondo, nonostante il favore con cui l'ordinamento vede questo genere di iniziative: basti pensare ad esempio al fatto che i disegni di legge di iniziativa popolare conservano validità e possono essere esaminati ed approvati nell'arco di due legislature, a differenza di tutte le altre leggi in discussione e non approvate che decadono al termine della legislatura in corso. Purtroppo gli interessi politici o le contingenze storiche non hanno permesso fino ad oggi di far approvare alcuna legge di iniziativa popolare, la cui semplice possibilità però svuota di senso qualsiasi genere di referendum propositivo e lo rende utile tanto quanto potrebbe esserlo un sondaggio conoscitivo sui temi sensibili per la popolazione.

I referendum consultivi sono ancora più degli altri dei veri e propri sondaggi in forma di votazione alle urne: come esprime eloquentemente in nome, questo tipo di referendum costituisce solo una richiesta di opinione del corpo elettorale su un determinato tema o su un progetto di legge, che di per sé, salvo specifiche previsioni contrarie, non obbliga poi il legislatore a percorrere un determinato indirizzo; inoltre dal momento che non hanno riconoscimento nella Costituzione, i referendum consultivi non hanno validità alcuna.
Nulla vieta di indire consultazioni di questo genere, ma anche una volta portate a compimento, poi nulla cambia: la mancanza di riconoscimento e di regolamentazione a livello legislativo determina infatti l'assenza più assoluta di qualsiasi valore vincolante per l'esito della consultazione referendaria e di conseguenza nessuno è davvero tenuto a osservare la volontà popolare... come storicamente è avvenuto in occasione delle consultazioni referendarie consultive tenutesi a Milano nel 2012 e che alla fine hanno fatto la fine della carta straccia.
L'unico eccezionale caso di referendum consultivo che abbia avuto validità si è registrato nel 1989, quando in occasione del referendum sulla trasfomazione della forma dell'Unione Europea è stata necessaria l'emanazione di una legge costituzionale ad hoc, la legge costituzionale n. 2 del 3 aprile 1989.
Dovrebbe essere quindi palese che nel caso in cui si volesse istituire ufficialmente e dare valore vincolante anche ai referendum consultivi, sarebbe preliminarmente necessaria l'approvazione di una specifica norma che ne dia espresso riconoscimento ed introduca quindi un nuovo e specifico articolo nella Costituzione, mediante la complessa procedura prevista per l'approvazione delle norme costituzionali.

Sui referendum per l'indipendenza ci sarebbe molto da dire, sia sotto il profilo storico sia sotto quello degli effetti sia soprattutto sotto quello della natura stessa di simili consultazioni, ma ogni discussione si deve fermare di fronte ad un argine invalicabile: l'unità del territorio e dello Stato italiano è espressamente sottratta a qualsiasi genere di consultazione popolare per la mancanza di qualsiasi riconoscimento da parte della Costituzione. Se si pensa poi che l'art. 139 della Carta Costituzionale sancisce, come norma di chiusura, che sulla forma di governo dell'Italia non si può varare alcun genere di legge costituzionale, a maggior ragione non si può pensare di indire una consultazione su un argomento che non può nemmeno formare oggetto di legislazione.
Dovrebbe quindi apparire chiaro che un referendum del genere, anche qualora indetto, non sarebbe altro che una velleitaria votazione sul nulla e che mai avrebbe effetto o validità alcuna.

Ma anche per quanto riguarda i referendum validi, riconosciuti e regolati dalla Costituzione, pare a volte non essere chiaro come questi strumenti di legislazione diretta non siano onnipotenti: proprio la consapevolezza della portata potenzialmente dirompente che ogni consultazione referendaria può avere sull'ordinamento ha fatto in modo che la Costituzione abbia sottratto fin da sempre alcune materie alla possibilità stessa che una consultazione popolare si possa tenere.
Tali materie sono elencate dall'art. 75 della Costituzione e sono le seguenti:
  • leggi tributarie;
  • leggi di bilancio dello Stato;
  • provvedimenti di clemenza (ossia le leggi di amnistia e indulto);
  • leggi di autorizzazione di ratifica dei trattati internazionali (e di conseguenza anche sui trattati stessi);
L'importanza di tali materie per la vita e la sussitenza dell'ordinamento sono quindi sottratte agli ondivaghi umori popolari, soprattutto quando essi non sono genuini e vengono altresì influenzati da fattori estemporanei o alterati ad arte da notizie e false e tendenziose o discorsi manipolatori della verità e della credulità popolare.
E quindi, a differenza dei referndum non previsti, quelli che ineriscono leggi su cui non è consentita la consultazione popolare non sarebbero approvati nemmeno in partenza e non si potrebbero pertanto tenere: la Corte di Cassazione, deputata a controllare la legittimità dei quesiti prima che i referendum possano essere svolti, non potrebbe mai dare assenso ad atti contrari alla Costituzione stessa.