giovedì 20 aprile 2017

La diffamazione: cos'è veramente?

Spesso e volentieri la parola "diffamazione" viene comunemente avvertita come sinonimo più aulico del termine "calunnia" e quindi più in generale è ricollegata al concetto di "falsa accusa". In realtà non è propriamente così corretto l'accostamento concettuale e in termini di diritto la diffamazione è tutt'altro che collegata alla calunnia.
Sul tema dei falsi sinonimi la differenza era già stata affrontata e per maggior curiosità viene qui richiamata e nuovamente esposta, per dare un quadro generale sulla differenza di base tra "diffamazione", "calunnia" e (l'abrogato reato di) "ingiuria" contenuta nel Codice Penale.


La confusione che si è ingenerata in questo periodo richiede tuttavia di soffermarsi più accuratamente sul concetto stesso di diffamazione e chiarirne quindi la forma e l'applicazione della legge.
Come evidenziato dalla formulazione stessa del primo comma dell'art. 595 del Codice Penale, il reato in questione non ha nulla a che vedere con il lanciare false accuse, bensì riguarda la reputazione e in senso lato l'onore della persona offesa, che viene infangata da chi sparge voci sul conto di un soggetto non presente nel momento in cui vengono diffuse, non in grado di difendersi sul momento dalle parole che ne macchino l'onore e può quindi tutelarsi solo a posteriori mediante apposita querela da sporgere entro tre mesi dal momento in cui la diffamazione viene scoperta. E la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire in diverse occasioni che basta parlare anche solo con due persone allo stesso tempo per realizzare il requisito delle "più persone" e porre quindi in essere la condotta vietata.
Si capisce pertanto come lanciare "accuse false" abbia poca attinenza con la diffamazione intesa in senso di legge, ma bisogna prestare attenzione comunque ad un fatto non secondario: il secondo comma della norma citata determina una pena più grave per chi non solo sparge voci che macchiano la reputazione della persona assente, ma lo fa citando e additando un fatto specifico che riguardi la persona diffamata. Il reato in tal caso si verifica a prescindere dalla veridicità o dalla notorietà del fatto imputato, che, salvo casi particolari, non può nemmeno entrare a far parte del giudizio sulla diffamazione arrecata. Ciò avviene per una ragione specifica: ad essere tutelato dalla norma è l'onore della persona diffamata, ad essere tutelato è il decoro del soggetto, il suo buon nome e il suo diritto a non essere additato ed etichettato dalla comunità come una persona "sporca" in senso lato.
Vi è una sola parziale eccezione, una sola parziale scusante a tale attribuzione di fatti specifici: a norma dell'ultimo comma del successivo art. 596, chi imputi un fatto penalmente rilevante e per il quale vi sia un'effettiva condanna in giudizio non è punibile per tale asserzione... a meno che non esageri con i toni ad un punto tale da commettere un atto comunque diffamatorio, uno sproloquio dalla portata tale da risultare punibile nonostante il comportamento del diffamato sia effettivamente meritevole di punizione da parte dell'ordinamento.

Più in generale, il fatto non risulta punibile per la legge italiana in due casi molto specifici:
  • se la diffamazione è stata determinata da un fatto ingiusto della persona contro cui la si commette e subito dopo quello stesso fatto (e quindi in sostanza l'ordinamento non prende in considerazione sbotti e sfoghi subito dopo aver subito qualcosa che non si meritava di subire);
  • quando scritti e discorsi potenzialmente offensivi vengono pronunciati in giudizio dalle parti o dai loro avvocati... ed in tal caso l'ordinamento copre il fatto facendo cancellare, ove possibile, le espressioni offensive dagli atti e dai provvedimenti processuali (anche se ciò non pare esclude a priori eventuali responsabilità disciplinari).

Una menzione a parte la merita la cosiddetta "diffamazione a mezzo stampa": prevista dal terzo comma del citato art. 595, è la forma più grave del reato in questione e punita ogni qual volta i contenuti che infangano l'onore siano diffusi in forma scritta tramite mezzi di ampia diffusione. In tal modo la comunicazione diffamatoria avviene sempre nei confronti di un soggetto non in grado di rispondere alle offese, perché non presente né in grado di conoscerle tempestivamente, e viene divulgata contestualmente ad un numero indefinito e potenzialmente alto di persone.
La norma originale è stata creata in un tempo in cui le tecnologie telematiche non erano neanche lontanamente immaginabili, ma non per questo la ragion d'essere della norma viene meno di fronte ai nuovi mezzi: è infatti da tempo che la giurisprudenza ha adeguato l'applicazione della norma e ha pertanto equiparato alla stampa ogni piattaforma di diffusione e di divulgazione di contenuti ad un pubblico potenzialmente vasto, siano essi siti internet, forum o social network. Non deve quindi stupire il fatto che sia possibile finire nei guai per aver espresso la propria opinione online, sia essa un semplice commento denigratorio o una recensione non veritiera e fatta ad arte per screditare una persona fisica o un'attività commerciale dotata di soggettività giuridica.
E quel che poco viene tenuto in considerazione è il fatto che una diffusione tramite forma scritta sia molto più facilmente comprovabile di una diffusione orale di voci e malelingue. Come si suol dire, carta canta! Pure quella digitale.

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