Quante volte si sente dire nell'ambito di un procedimento giudiziario l'espressione "sono innocente!" spesso con ben poca convinzione, quando non con vera e propria arroganza e oltre ogni ragionevole dubbio? Di casi del genere sono piene le carceri prima ancora delle fiction, ma per quanto raramente, possono effettivamente capitare dei veri e propri errori giudiziari, che portano in prigione ingiustamente qualcuno che effettivamente nulla ha a che spartire coni reati di cui è accusato.
Uno dei casi più famosi ed emblematici in questo senso è quello di Enzo Tortora, finito coinvolto in un brutto giro al quale non si era mai nemmeno rivolto a causa di un errore di valutazione delle prove e del fenomeno allora anche più diffuso ed incontrollato del "pentitismo", ossia del tentativo di scardinare le associazioni di criminalità organizzata concedendo sconti di pena ed agevolazioni in cambio di rivelazioni che venivano prese subito per buone ed autentiche, senza la minima attività di controllo... con effetti a volte devastanti e che non tutti avevano la forza ed i mezzi di contrastare.
Enzo Tortora più di tanti altri ha subito un'ingiustizia di notevoli proporzioni e più di tanti altri sarebbe stato legittimato a chiedere un risarcimento per l'ingiusta detenzione subita, ma purtroppo non ha fatto in tempo: è stato infatti solo nel 1988, l'anno della morte del famoso conduttore di Portobello, che è stata introdotta nell'ordinamento italiano la Legge 117, la cosiddetta Legge Vassalli riformata nel 2015, che sancisce la responsabilità civile dei magistrati per i danni ingiusti.
Tale legge però funzionava in una maniera piuttosto strana, macchinosa e spesso e volentieri, dopo lungaggini burocratiche degne di nota, finivano per elargire un risarcimento più simbolico che effettivo... e non solo perché quantificare anni di vita perduti dietro le sbarre senza un vero motivo è un'operazione ai limiti dell'impossibile. Il meccanismo che stava originariamente alla base del risarcimento in questione poneva una serie di ostacoli da superare, primo fra tutti il vaglio di un "filtro di ammissibilità", ossia di un giudizio preliminare operato dalla Corte d'Appello competente per valutare se l'azione in questione era ammissibile con un controllo di presupposti, termini e valutazione della fondatezza della domanda; filtro che stroncava molte cause sul nascere e che è stato abrogato solamente con la riforma del 2015.
L'aspetto più rilevante della legge Vassalli, anche a seguito della riforma, è che la responsabilità civile dei magistrati è solamente di tipo indiretto e non è quindi possibile agire direttamente nei confronti dei singoli magistrati e men che meno è possibile farlo senza aver prima tentato di ottenere un risarcimento per tutte le altre strade ordinarie esperendo tutti i rimedi normalmente previsti dall'ordinamento per un dato procedimento. Inoltre, prima della riforma del 2015, non era nemmeno possibile chiedere un risarcimento se non per i casi di ingiusta privazione della libertà personale.
Tale clausola è stata abrogata e ad oggi è possibile agire in sé e per sé contro i danni ingiusti arrecati dall'attività della magistratura, indipendentemente dalla natura patrimoniale o non patrimoniale dei danni suddetti.
Ciò che non è stato variato nemmeno dalla recente riforma è lo svolgimento dell'azione: è infatti possibile esperire l'azione di responsabilità solo nei confronti dello Stato e nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri (con il paradosso documentato di un'azione di Silvio Berlusconi contro il Presidente del Consiglio Sivlio Berlusconi), dinnanzi alla tribunale del capoluogo del distretto di Corte d'Appello competente per territorio dove il fatto ingiusto dei magistrati si è verificato ed entro tre anni dal compimento del fatto o dalla scadenza del termine entro cui il magistrato avrebbe dovuto provvedere.
In caso di successo e di effetivo risarcimento, lo Stato potrà esercitare un'azione di rivalsa nei confronti dei magistrati responsabili in una misura non immediata, bensì a livello di decurtazione dello stipendio pari al massimo ad un'annualità di stipendio (al netto delle ritenute fiscali).
Quello che la riforma del 2015 ha invece variato riguarda la natura del danno ingiusto: è stato infatti chiarito che il danno ingiusto per cui è possibile agire per responsabilità civile dei magistrati riguarda ipotesi specifiche:
Violazioni che, per quanto possano essere ritenute a vario titolo ingiuste, non possono essere lasciate alla qualificazione di un soggetto privato, ma devono essere valutate comunque giuridicamente ed avere connotati di abnormità tali da essere oggettivamente contrarie ad ogni norma e diritto. Casi dubitativi, in cui l'assoluzione dipende da mancanza o insufficienza di prove o da motivi tecnici-formali più che da una dimostrazione di innocenza "con formula piena", sono certamente un esercizio non felice della giustizia, ma in genere non si possono definire così gravi da essere anche ingiusti.
Uno dei casi più famosi ed emblematici in questo senso è quello di Enzo Tortora, finito coinvolto in un brutto giro al quale non si era mai nemmeno rivolto a causa di un errore di valutazione delle prove e del fenomeno allora anche più diffuso ed incontrollato del "pentitismo", ossia del tentativo di scardinare le associazioni di criminalità organizzata concedendo sconti di pena ed agevolazioni in cambio di rivelazioni che venivano prese subito per buone ed autentiche, senza la minima attività di controllo... con effetti a volte devastanti e che non tutti avevano la forza ed i mezzi di contrastare.
Enzo Tortora più di tanti altri ha subito un'ingiustizia di notevoli proporzioni e più di tanti altri sarebbe stato legittimato a chiedere un risarcimento per l'ingiusta detenzione subita, ma purtroppo non ha fatto in tempo: è stato infatti solo nel 1988, l'anno della morte del famoso conduttore di Portobello, che è stata introdotta nell'ordinamento italiano la Legge 117, la cosiddetta Legge Vassalli riformata nel 2015, che sancisce la responsabilità civile dei magistrati per i danni ingiusti.
Tale legge però funzionava in una maniera piuttosto strana, macchinosa e spesso e volentieri, dopo lungaggini burocratiche degne di nota, finivano per elargire un risarcimento più simbolico che effettivo... e non solo perché quantificare anni di vita perduti dietro le sbarre senza un vero motivo è un'operazione ai limiti dell'impossibile. Il meccanismo che stava originariamente alla base del risarcimento in questione poneva una serie di ostacoli da superare, primo fra tutti il vaglio di un "filtro di ammissibilità", ossia di un giudizio preliminare operato dalla Corte d'Appello competente per valutare se l'azione in questione era ammissibile con un controllo di presupposti, termini e valutazione della fondatezza della domanda; filtro che stroncava molte cause sul nascere e che è stato abrogato solamente con la riforma del 2015.
L'aspetto più rilevante della legge Vassalli, anche a seguito della riforma, è che la responsabilità civile dei magistrati è solamente di tipo indiretto e non è quindi possibile agire direttamente nei confronti dei singoli magistrati e men che meno è possibile farlo senza aver prima tentato di ottenere un risarcimento per tutte le altre strade ordinarie esperendo tutti i rimedi normalmente previsti dall'ordinamento per un dato procedimento. Inoltre, prima della riforma del 2015, non era nemmeno possibile chiedere un risarcimento se non per i casi di ingiusta privazione della libertà personale.
Tale clausola è stata abrogata e ad oggi è possibile agire in sé e per sé contro i danni ingiusti arrecati dall'attività della magistratura, indipendentemente dalla natura patrimoniale o non patrimoniale dei danni suddetti.
Ciò che non è stato variato nemmeno dalla recente riforma è lo svolgimento dell'azione: è infatti possibile esperire l'azione di responsabilità solo nei confronti dello Stato e nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri (con il paradosso documentato di un'azione di Silvio Berlusconi contro il Presidente del Consiglio Sivlio Berlusconi), dinnanzi alla tribunale del capoluogo del distretto di Corte d'Appello competente per territorio dove il fatto ingiusto dei magistrati si è verificato ed entro tre anni dal compimento del fatto o dalla scadenza del termine entro cui il magistrato avrebbe dovuto provvedere.
In caso di successo e di effetivo risarcimento, lo Stato potrà esercitare un'azione di rivalsa nei confronti dei magistrati responsabili in una misura non immediata, bensì a livello di decurtazione dello stipendio pari al massimo ad un'annualità di stipendio (al netto delle ritenute fiscali).
Quello che la riforma del 2015 ha invece variato riguarda la natura del danno ingiusto: è stato infatti chiarito che il danno ingiusto per cui è possibile agire per responsabilità civile dei magistrati riguarda ipotesi specifiche:
- la violazione manifesta delle norme dell'Unione Europea;
- l'affermazione in sentenza di un fatto manifestamente ed inequivocabilmente escluso da quanto dimostrato dagli atti del procedimento o, viceversa, la negazione di un fatto incontrovertibilmente dimostrato come verificatosi sempre in base a quanto dimostrato nel processo;
- l'emissione di un provvedimento cautelare immotivato o fuori dai casi previsti dalla legge;
- l'interpretazione di norme e la valutazione di fatti o prove in maniera erronea se commessi con dolo o colpa grave.
Violazioni che, per quanto possano essere ritenute a vario titolo ingiuste, non possono essere lasciate alla qualificazione di un soggetto privato, ma devono essere valutate comunque giuridicamente ed avere connotati di abnormità tali da essere oggettivamente contrarie ad ogni norma e diritto. Casi dubitativi, in cui l'assoluzione dipende da mancanza o insufficienza di prove o da motivi tecnici-formali più che da una dimostrazione di innocenza "con formula piena", sono certamente un esercizio non felice della giustizia, ma in genere non si possono definire così gravi da essere anche ingiusti.
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