martedì 24 ottobre 2017

Commento polemico alle polemiche post-referendum lombardo-veneto

Chi segue da più tempo l'iniziativa "Parliamo di Diritto" avrà potuto osservare come in occasione delle varie consultazioni referendarie siano state fornite diverse istruzioni, indicazioni e soprattutto spiegazioni del valore legale e dell'impotanza dei vari referendum, cercando di vedere oltre le singole visioni di "campagna elettorale" e lasciando allo stesso tempo ogni valutazione politica al singolo apprezzamento personale. Ogni commento seguito all'esito dei referendum stessi è stato poi affidato alle valutazioni singole e personali estranee a questo spazio.
Questa volta invece non è purtroppo possibile rimanere in silenzio di fronte al fiorire di numerosi articoli, affermazioni e frainendimenti che il referndum lombardo-veneto sta portando con sé e occorre quindi chiarire, di nuovo, alcuni concetti fondamentali.
 
1) Nessuna delle due Regioni ha mai votato o inteso votare per diventare indipendente o per staccarsi dall'Italia: per quanto questo potesse essere l'utopico ed impossibile sogno di Umberto Bossi e della vecchia corrente della Lega Nord, questo progetto è ormai superato e ad oggi nessuno dotato di un minimo di intelletto e buona fede potrebbe affermarlo senza che sia uno scherzo o senza essere consapevole che realizzare una cosa del genere sarebbe uno strappo alla tanto esaltata Costituzione.
Tant'è che si è votato per l'autonomia di queste Regioni (v. oltre).
2) Anche se per assurdo si fosse votato per l'indipendenza, con quale coraggio si sarebbe potuto proclamare con un semplice referendum consultivo (che ha lo stesso valore di un sondaggio) e non invece con un atto come quello con cui si è scelto di passare dalla monarchia alla repubblica?
3) Non è chiaro e a questo punto si dovrebbe anche spiegare come accidenti sia possibile anche solo pensare che "autonomia" ed "indipendenza" siano sinonimi. 
A livello giuridico soprattutto, ogni parola ha il suo significato preciso e non può essere confuso con altri.
Giusto per chiarire a grandi linee, avere autonomia, significa avere libertà di esercitare opzioni e competenze senza avere troppi vincoli dall'alto, ma sempre e comunque in inconfondibile posizione subalterna a qualche altro ente superiore (in questo caso dello Stato Italiano); indipendenza invece significa che nessuno dei due enti è in rapporto subalterno all'altro, ma sono in piano di parità... come l'Italia e San Marino, per fare un esmpio pratico.
Quindi, visto che il referndum è stato per l'autonomia, è escluso che fosse destinato all'indipendenza o ad ottenerla.
4) Non è cambiato niente e nulla potrebbe nemmeno cambiare in tempi brevi: come già esposto in precedenza, questo referendum è consultivo, quindi non ha valore legale. Ma soprattutto questa è stata una mossa squisitamente ed esclusivamente politica.
Altro non è stato che una legittimazione popolare delle Giunte delle due Regioni coinvolte ad avviare le trattative con il Governo per ottenere una diversa distribuzione delle competenze già previste dalla Costituzione. In parole povere, per cambiare la distribuzione dei poteri già esistenti, nulla più e nulla di meno.
5) I costi ci sono stati e non ci si può fare nulla.
Qualunque cosa se ne possa pensare, ormai però il referendum è passato ed è finito. Si spera che le spese fatte dalla Regione Lombardia siano una tantum e che i costi vengano abbattuti ed ammortizzati nelle votazioni successive, ma toccherà al governo a questo punto estendere la modalità di voto elettronico al resto del Paese e magari raffinare le procedure.
Quel che è certo è che continuare a polemizzare su questo aspetto significa solo piangere sul latte versato, come si suol dire. Non sarebbe il caso di impiegare le proprie forze mentali su altri aspetti più importanti ed attuali?
6) Il voto elettronico ha o non ha funzionato?
Dal momento che questa è una materia ancora sperimentale, una prova potrebbe non essere sufficiente a dire sì o no. Andrebbe ripetuta per poter essere raffinata. Schierarsi apertamente e preventivamente pro o contro una tecnologia che potrebbe prevenire fenomeni di scrutatori partigiani e brogli elettorali senza prima capire nel merito se funzionerà a dovere e se e quali procedure vi siano da raffinare equivale ad avere troppe speranze preventive nella tecnologia o una coda di paglia lunga fino alla frontiera.

Altre polemiche che possono essere segnalate saranno affrontate nel merito e nei casi specifici.

venerdì 20 ottobre 2017

Il caso Asia Argento, Weinstein... Adinolfi e altri.

L'ormai ben nota e sordida vicenda di Asia Argento ha destato non poco scalpore e su di essa il mondo social si è particolarmente distinto nel dividersi e a dare mostra di sé in una particolare dicotomia tra innocentisti e colpevolisti, tra chi ha dato addosso alla (controversa) figlia di Dario Argento e  chi l'ha difesa a spada tratta, passando per vari gradi di oscurità ed oscenità, anche purtroppo a livello ideologico.
Pare utile riflettere sulla questione sotto una diversa visione dell'argomento e probabilmente un esempio ed una metafora anche di legge potrà aiutare a capire qualcosa sul tema: per quanto concerne l'attrice nostrana, si parla di un caso "vecchio" e che secondo la legge americana potrebbe essere prescritto o meno: il procedimento penale d'oltreoceano potrebbe fare il suo corso o rimanere impunito dal punto di vista della giustizia dei tribunali, ma che si tratti di qualcosa di brutto e oscuro ci sono ormai pochi dubbi, considerato anche il fatto che non è una persona sola ad aver denunciato il potente produttore Harvey Weinstein, bensì parecchie. E, come lei, dopo diversi anni dagli abusi da lui commessi.

E il fatto che Asia Argento abbia avuto dal soggetto in questione regali costosi ed una relazione dalla durata chiacchierata e non ben definita, anzi nemmeno certa, non può apparire nemmeno così strano, inspiegabile o "da puttana" (come si è letto e sentito da più parti): questo lo si può affermare non solo su base presuntiva o "innocentista", non solo sulla base del fatto che oggi come allora casi del genere si guadagnano una vergognosa eppure certa gogna mediatica e sociale che paradossalmente colpisce la vittima invece del carnefice; ma anche perché pure in Italia vengono commessi reati del genere (e anche altri), che possono essere perpetrati secondo una condizione o un'aggravante molto ricorrenti e previste dal Codice Penale a più riprese: quelle dell'abuso di autorità o di condizioni psicologiche. E quello di una figura come quella del soggetto in parola ne è un esempio decisamente lampante: si può facilmente immaginare come e con quanta facilità possa approfittare della propria posizione un uomo che con una telefonata e una parola potrebbe far sorgere o cadere un contratto, dare occasioni o stroncarle, magari in tutto il settore e praticamente per sempre... e a fronte di ciò, è facile che chi non abbia un carattere molto forte non riesca ad opporsi e a venirne fuori e comunque al forte prezzo di dover rinunciare a sogni e possibile carriera; e se l'abuso di autorità continua e si tramuta addirittura in una spirale di ricatti e continue violenze, anche le apparenze sociali non ne possono che esserne influenzate.
Basti pensare altresì ai fin troppi casi di relazioni domestiche squilibrate o abusi domestici prolungati o anche ai molti casi di femminicidi giovanili o ancora i casi che ogni tanto emergono di ragazzine stuprate da un branco di poco più che coetanei ricattate con video hard: in molti casi la consapevolezza di essere vittime di violenza c'è, ma non si denuncia e anzi si fa finta che vada tutto bene di fronte agli altri e all'universo mondo.... finché non si arriva ad un punto di rottura e qualcosa di peggio non accade. Per chi resta da vedere, a seconda di come si evolvano simili vicende.
In tutti i casi di questo genere, così come in tanti altri che si potrebbero elencare per ore, sono tutte delle ingenue sgualdrine a sopportare mariti, fidanzati, compagni di classe, (ex) amici, colleghi o datori di lavoro per tanto tempo (da mesi ad anni o decenni)?

Purtroppo più di qualcuno pare pensarla in questo modo e non solo gente anonima o che approfitta vigliaccamente degli altri nei modi appena citati, ma anche soggetti più famosi che si pongono e propongono in qualche modo nel ruolo di fari e guide morali... ergendosi però come portatori (in)sani di moralismo di un livello tale da risultare parecchio offensivo ed inappropriato, al punto da essere bannato persino dai tanto contestati social network.
E a buon motivo, dal momento che ormai la storia sta travalicando ogni confine del buon senso e del buon gusto, in quanto Mario Adinolfi ha esplicitamente paragonato Asia Argento ad una prostitua d'alto borgo, con un intento ed un tono rimessi al libero apprezzamento di tutti. Tralasciando il fatto che Asia Argento sarebbe pienamente legittimata a querelare il suddetto bannato da Facebook e che per effetto della recente Riforma Orlando potrebbe farsi risarcire fior di quattrini per questo attacco ingiustificato alla sua figura e alla sua reputazione, urge a questo punto chiarire quello che è stato il grave errore di valutazione ed ideologico che è stato commesso, non solo da lui, ma da lui efficacemente rappresentato e qui ripreso per via di ciò che ha pubblicamente affermato e frainteso.
Nello specifico, ad Adinolfi e a tutti quelli che sono stati affini alla sua posizione è sfuggito un concetto piuttosto delicato e che è già stato esposto più sopra: la violenza assume molteplici forme e non è sempre un atto violento fisico ed immediato, ma può benissimo protrarsi nel tempo e questa possibilità è tanto più alta quanto più è potente e predominante la parte che violenta, ricatta ed abusa della sua influenza. Non si tratta semplicemente di una differenza terminologica, ma di un dato che viene ben stabilito anche dalla legge italiana all'art. 609 bis del Codice Penale.
In particolare è utile sottolineare e riprendere il primo comma della norma citata: 
"Chunque con violenza o minaccia o abuso di autorità costringe taluno a subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni"
Come si può ben leggere, la norma italiana contempla esplicitamente anche il caso di abuso di autorità tra le condizioni con cui si può commettere il reato, condizione che certa parte dell'opinione pubblica (e degli opinionisti da social sempre più arrogantemente diffusi senza avere né arte né parte) pare non aver nemmeno lontanamente preso in considerazione.
E l'altra espressione sottolineata è ben indicativa di quanto sia ampia la portata del reato, quanto sia vasta la tutela dedicata dalla norma al contrasto della violenza: la disposizione citata punisce tutti gli atti sessuali forzati. Qualche lettore superficiale potrebbe pensare ed obiettare che un atto sessuale non è per forza uno stupro... ma questo stesso lettore superficiale incorrerebbe nello stesso tremendo errore di sottovalutare quello che la legge espone e tutela: la libertà sessuale, secondo il citato art. 609 bis c.p. deve essere totale e consensuale da entrambe le parti, dall'inizio alla fine del rapporto. Non è un caso se altre pratiche vergognose ed in sé inspiegabili come lo stealthing possano essere punite dalla stessa norma, perché un atto sessuale iniziato in un modo deve essere poi compiuto in buona fede e senza inganni o travalicazioni da parte di nessuno dei coinvolti in questo stesso atto.
E in simili casi, pagamenti e regalie "riparatorie" possono essere viste come un piccolo e generoso compenso da parte di chi violenta... ma, tornando al punto precedente, si possono benissimo vedere e considerare come un'ulteriore dimostrazione del potere ed estrinsecazione dell'abuso da parte della persona che oltretutto "si degna" di aggiungere qualcosa di materiale dopo la violenza psicologica (prima ancora che fisica) inferta alla sua vittima. Come se ciò bastasse a riparare tutto il male commesso...
Ma come si fa a questo punto a vedere questa (peraltro eventuale) elargizione come un compenso? E come lo si può considerare quindi il prezzo di una prestazione prostitutiva invece dell'ulteriore umiliante sfoggio di potere e di influenza che è?

Anzi, come si fa a considerare questa come prostituzione? Per di più di alto borgo?
Su questo aspetto pare non esserci molta chiarezza in merito da parte dei propugnatori della giusta morale e occorre anzi delineare ancora una volta cosa si possa intendere come rapporto di natura prostitutiva a livello di legge: si tratta di un'obbligazione naturale, ossia di un accordo non scritto e non giudizialmente risarcibile, con cui una persona accetta volontariamente di effettuare atti sessuali dietro compenso precedentemente e liberamente stabilito tra le parti. E a questo punto non si può sottolineare abbastanza il fatto che si tratta di un rapporto liberamente e volontariamente stabilito tra entrambe le parti. In cambio di soldi o altri beni materiali e senza altri rapporti di sorta dopo aver consumato le prestazioni sessuali concordate.
Nulla c'entra qualsiasi considerazione di ordine morale o moralistica che si possa fare sul tema e su cui si potrebbe discutere per ore. E nulla c'entra nemmeno il triste e depreccabile fenomeno, questo veramente "da puttane", di fare favori sessuali al capo in cambio di scatti di carriera e posizioni a scapito di chi se li meriterebbe: a livello di ordinamento, la prostituzione è solamente un rapporto sessuale o una serie di rapporti liberamente concordati in cambio di un prezzo in denaro liberamente stabilito di comune accordo.
Per il resto, il tema della regolamentazione della prostituzione era già stato trattato in precedenza e ancora dovrà essere affrontato in altra sede: basti qui richiamare il video-approfondimento che era stato già pubblicato da tempo.


Non resta quindi che una triste domanda, a cui probabilmente non verrà data una risposta tanto presto: cosa si aspetta a mettere da parte l'ignoranza e l'arroganza di sapere tutto su vicende così complesse e oscure e mettersi invece a capire per bene le cose?
Andare oltre le facili posizioni preconcette che non dicono nulla e non fanno altro che offendere e denigrare chi vive qualcosa che non si dovrebbe vivere è un atto che richiede molto stomaco e molto coraggio. Ma le conseguenze dell'alternativa comodità sono così allettanti?

giovedì 19 ottobre 2017

La Riforma Orlando come cambia la prescrizione?

L'effetto principale e più dirompende della cosiddetta "Riforma Orlando", approvata con la Legge n. 103 del 23 giugno 2017, è già stato trattato nell'approfondimento già dedicato al nuovo regime delle querele.
Ma, come anticipato, quello è stato solamente il primo dei vari cambiamenti introdotti e passati relativamente sotto silenzio nell'estate appena trascorsa. Cambiamenti peraltro non molto facili da analizzare, in quanto la Legge in questione adotta una "tecnica legislativa" piuttosto discutibile: se in passato si potevano criticare articoli composti da fin troppi commi e di difficile lettura, ma che comunque avevano una certa logica interna e non sconfinavano nelle previsioni di altri articoli, contribuendo a creare un disegno in qualche modo organico, in questo caso la legge è composta da un unico articolo e quasi un centinaio di commi che passano senza alcun ordine logico dall'introduzione di nuovi istituti al variare delle pene di alcuni reati al cambiamento della procedura penale.
Leggere un provvedimento del genere diventa un'impresa molto ardua e il compito di disticare la matassa ed interpretarla, prima ancora di renderla comprensibile, viene quindi molto più complicato di quanto già non sarebbe. C'è da augurarsi che tale sciagurata tecnica legislativa sia più unica che rara e che rappresenti anzi in campo di legge la proverbiale espressione "toccare il fondo"...

Ad ogni buon conto, uno degli altri effetti della Riforma Orlando si può riconoscere, oltre che nell'aver reso la maggior parte delle querele una sorta di invito al pagamento, nell'aumento delle pene o nell'esclusione delle attenuanti per alcuni reati.
Per i più curiosi, vengono aumentate a vario modo le punizioni formali per i reati di scambio politico-elettorale, di furto in abitazione e con strappo e di estorsione. Solo questi. Senza una logica apparente e senza un disegno d'insieme. Anzi, questi aumenti di pena sono una sorta di "intermezzo" rispetto a nuove regolamentazioni ben più importanti.

Infatti è un altro e più importante aspetto che appare determinante nel novero della riforma: il cambiamento dei termini di prescrizione e del loro decorso.
La nuova legge prevede infatti che nel caso di reati commessi contro i minorenni, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui la vittima raggiunge la maggiore età; analogo spostamento dell'inizio della prescrizione viene fatto in caso in cui siano necessari determinati atti (autorizzazione ad agire, deferimenti, rogatorie internazionali...).
La prescrizione invece addirittura sospesa non solo nei casi già previsti normalmente dall'art. 159 c.p., bensì anche tra i vari gradi di giudizio: è infatti previsto dalla nuova norma che la prescrizione di una causa venga sospesa per un limite massimo di 18 mesi tra i vari gradi di giudizio e dopo l'emanazione della sentenza di ciascuno dei gradi di giudizio che precedono quello in Cassazione. Di conseguenza i tempi processuali, già notoriamente biblici, vengono ulteriormente dilatati fino a tre anni... e quindi le vicende giudiziarie, anziché finire prima, restano ancora più a lungo nei tribunali, dove possono essere accatastate in attesa di essere esaminate e che si possa quindi arrivare ad una pronuncia definitiva. E in caso di assoluzione in appello o di annullamento della sentenza, i termini vengono peraltro computati di nuovo, prorogando ulteriormente i tempi.
Il tutto poi è condito da un ulteriore cambiamento in cui i tempi di prescrizione non vengono semplicemente sospesi, bensì vengono interrotti del tutto e devono quindi ricominciare a decorrere da capo dopo un evento già previsto prima dalla legge, ma che con la riforma assume anche una nuova valenza: l'interrogatorio reso alla Polizia Giudiziara delegata dal Pubblico Ministero ora interrompe la prescrizione.
Una previsione che può avere un senso in indagini particolarmente lunghe e complesse, ma che in altri casi diventa inspiegabilmente dilatoria, per non dire confusa quando stabilisce che questo meccanismo non possa comunque comportare un aumento dei tempi di oltre la metà del periodo di prescrizione ordinario nei reati contro la pubblica amministrazione. Molto più sensato ed organico sarebbe stato prevedere l'interruzione della prescrizione solo per il caso si proceda per alcuni tipi di reati e non in via generale ed in ordine sparso.
Tutta questa modifica del regime della prescrizione vista nel suo insieme appare "leggermente" paradossale rispetto agli intenti iniziali della riforma: a fronte di un tentativo di sfoltire il carico processuale eliminando sostanzialmente tutti i reati minori con querele poco utili ad arrivare in giudizio e forse più idonee ad arrotondare il conto in banca (tentativo già iniziato in precedenza con la particolare tenuità), la Riforma Orlando allunga notevolmente i tempi di "scadenza naturale" delle cause pendenti e future, lasciando sedimentare e trascorrere tanto, troppo tempo per arrivare a decidere e poter risanare le ferite inferte da un possibile fatto di reato.
La conseguenza estrema sembra un po' paradossale e sembra quasi voler dire che è meglio non finire in giudizio, perché altrimenti ci si resta impelagati (molto più) a lungo. Quando in realtà bisognerebbe starci di meno...

mercoledì 11 ottobre 2017

Dovuti chiarimenti sul Referendum lombardo-veneto

Com'è noto, il prossimo 22 ottobre gli abitanti delle Regioni di Lombardia e Veneto saranno chiamati ad esprimere il proprio voto in merito al quesito referendario indetto sull'autonomia... ed è da quando sono comparse le prime pubblicità in merito che si è cominciato, come al solito, a dire tutto ed il contrario di tutto.
Occorre quindi sgombare subito il campo almeno dai dubbi e dai "pettegolezzi" più frequenti che sono stati espressi in proposito:
1) il referendum del 22 ottobre non ha nulla a che vedere con il recente e controverso referendum indetto dai separastiti esteri dalla Catalogna: non si tratta infatti di una consultazione volta ad ottenere l'indipendenza di due Regioni e a fondare uno Stato autonomo ed indipendente all'interno dell'Italia. Non è insito nel quesito referendario e non avrebbe nemmeno quegli effetti: basti considerare che indipendenza ed autonimia non sono sinonimi per capire la portata di questa fandonia;
2) non si tratta di un referendum costituzionale, bensì di uno consultivo: questo aspetto non è di secondaria importanza, perché un referendum consultivo non va ad intaccare in alcun modo la Costituzione o una qualsiasi legge vigente, bensì consiste nella richiesta di un'opinione alla popolazione dotata di diritto di voto su un quesito stabilito da chi indice il referendum;
3) il referendum consultivo non ha alcun valore legale: come già esposto in occasione dell'esame dei vari tipi di referendum e della loro disciplina legale, in Italia hanno valore soltanto due tipi di consultazioni popolari, in quanto espressamente previste dalla Costituzione... e il referendum consultivo non rientra fra queste. Ne consegue quindi che, almeno a livello legale, questo referendum è equivalente ad un sondaggio, solo condotto nei seggi elettorali anziché su siti internet o per la strada.

Chiariti i punti fondamentali, resta da capire ora perché questo referendum sia stato indetto e che valenza abbia.
Nella storia recente, i referendum consultivi non sono certo una novità nemmeno in Italia, benché molti di essi siano rimasti per lo più lettera morta (per non definirli carta straccia) e dopo le rispettive votazioni non se n'è più parlato. Quello di prossima votazione rischia di non avere una sorte differente, ma in questa consultazione vi è una motivazione più sottesa rispetto alle altre: il 22 ottobre sancirà una sorta di illustre ritorno di un'iniziativa già tentata, arenata e dimenticata. Non molti infatti paiono essere al corrente dil fatto che la Regione Lombardia aveva già avviato e tentato una trattativa con il secondo Governo per ottenere una diversa distribuzione delle competenze previste dall'art. 117 della Costituzione, ma all'epoca la trattativa si arenò con la caduta di detto Governo e non venne più instaurata con quelli successivi. A quasi un decennio di distanza, ora si vuole ritentare la stessa iniziativa, ma su una base diversa.
Il vero valore di questo referendum quindi non è insito nella sua natura o nel suo (inesistente) valore legale, ma nel suo implicito significato di legittimazione popolare all'iniziativa e all'opportunità di tentare nuovamente la strada della trattativa con il governo centrale per l'attuazione del dettato costituzionale e la diversa distribuzione delle competenze amministrative.

Per quanto concerne specificamente la Lombardia, la consultazione popolare prossima ventura assume anche un'ulteriore valenza per molti versi sperimentale: la Regione è infatti finita nella bufera delle polemiche per i costi dell'acquisto di tablet per solgere il reefrendum con la nuova forma di voto elettronico... senza tenere in debito conto che questo acquisto è solo l'applicazione recente ed attuale di quanto in realtà già previsto ed approvato dalla Regione già dal 2016 con apposito Regolamento Regionale e quindi senza riflettre sul fatto che questa è una spesa "una tantum", valida anche per tutti gli analoghi referendum prossimi venturi (non a caso, il chiacchierato referendum consultivo del Sindaco di Milano sulla riapertura dei navigli previsto per aprile 2018 rientrerà in questa stessa categoria).
Questo Regolamento disciplina compiutamente le nuove modalità di voto, tramite dispositivi appositi, misure di sicurezza, criteri di valutazione e modalità di trasmissione dei risultati. E una lettura anche solo superficiale del Regolamento evidenzia un dato di fatto non molto ben calcolato: non si tratta quindi solo di fare un grande sondaggio in seggi elettorali, ma anche di sperimentare una nuova modalità di voto, per una volta tanto non ispirata al "grande modello americano", ma all'intento di correggere le storture evidenziate nelle votazioni passate e ad evitare quanto più possibile brogli e più o meno piccole variazioni ad opera di "scrutatori partigiani" (che purtroppo non sono un mito invntato per gridare ai brogli, ma una realtà tristemente diffusa). Oltre ad un secondo "effetto collaterale" di togliere la possibilità di scrivere polemiche o insulti liberi e stupidamente inutili sulle schede elettorali.
A voler ben vedere, si tratta di un esperimento molto interessante e che, se avrà successo, potebbe estendersi in futuro anche a votazioni provviste di tutto il valore legale del caso... e quale miglior campo sperimentale di un tipo di referendum che non produrrà effetti nell'ordinamento, ma di cui non si può non sentir parlare?

mercoledì 4 ottobre 2017

Querele addio?

L'estate appena trascorsa è passata in sordina dal punto di vista giuridico, piena di altre notizie, altri eventi ed altri pensieri più o meno leggeri e già rivolti alle ferie. Tuttavia, sotto questa coltre di silenzio, è stata approvata quella che già viene definita come riforma Orlando, una gigantesca legge di un solo articolo e ben 95 commi che hanno cambiato in maniera decisamente importante la giustizia penale italiana.
In così tanti commi la nuova Legge 103/2017, che è possibile leggere in maniera integrale sulla Gazzetta Ufficiale, tocca tante aree differenti, troppe per poter essere approfondite tutte in una volta sola senza scrivere quello che apparirebbe come un manuale breve della riforma. Pertanto qui di seguito saranno affrontate di volta in volta le novità prncipali della riforma, a cominciare da quella che ha cambiato il funzionamento e, in un certo qual senso, l'utilità delle querele.

Prima della riforma in questione, in Italia c'erano due metodi per iniziare un processo: la denuncia e la querela, dove la prima era una segnalazione alle competenti autorità di un fatto di reato e la seconda era invece la specifica richiesta di punizione da parte delo Stato di un illecito a rilevanza penale "ridotta" (ossia di un fatto che l'ordinamento non approva, ma per cui non si muove in maniera autonoma per punire il colpevole come invece avviene per esempio in caso di omicidio).
La querela aveva un'importanza anche abbastanza consistente in questi casi, perché non solo permetteva di iniziare un procedimento penale a carico del responsabile del reato, ma garantiva altresì che il processo andasse avanti fino alla sentenza o fino a quando non veniva ritirata (o rimessa, in gergo tecnico) nei casi in cui ciò era possibile e non era indicato il contrario di volta in volta dalla legge. Tralasciando i casi in cui a volte si faceva del vero e proprio stalking per fare in modo che una querela sporta venisse poi ritirata dalla vittima, risulta chiaro come la querela fosse uno strumento per dare voce e potere alle parti deboli, che subivano delle prepotenze tali da mandare qualcuno meritatamente in galera. Si poteva dire che il potere di querelare rappresentava giuridicamente il detto di "avere il coltello dalla parte del manico".
La Riforma Orlando ha però decisamente spuntato questo stesso proverbiale coltello e ne ha anche cambiato la forma con l'introduzione nel Codice Penale del nuovo art. 162 ter: tale norma prevede che, nel momento in cui viene sporta una querela che si può rimettere, il responsabile del reato possa mettere in atto delle "condotte riparatorie" consistenti in risarcimenti pecuniari, restituzioni, eliminazione delle conseguenze del reato "ove possibile" e simili. Per dovere di cronaca, queste erano delle condotte che avrebbero potuto portare al riconoscimento di un'attenuante nel futuro processo... e oggi è ancora così, ma solo per i reati perseguiti d'ufficio o a querela irrevocabile.
E una volta posta in essere questa "condotta riparatoria", la parola spetta al giudice, che ha il compito di valutarne la congruità, la proporzionalità al reato commesso e la tempestività: il querelato ha infatti un margine di tempo per effettuare questa riparazione, ossia l'udienza di apertura del dibattimento o un altro termine che può essere richiesto e concesso dal giudice nel caso di impossibilità per causa "non imputabile" al reo, che può avere quindi fino a sei mesi per effettuare la riparazione richiesta da questa nuova legge.
Una volta accertati tutti i requisiti, il giudice allora ha il potere di dichiarare l'estinzione del reato.
Questa norma ha quindi una conseguenza di non poco conto: dal momento che si estingue il reato per cui si è sporta la querela, non si chiude semplicemente il procedimento, ma di esso non ne resta la benché minima traccia e nulla finisce sul casellario giudiziale del querelato. Perché, occorre ribadirlo, se e quando un reato si estingue prima di una sentenza di condanna della Cassazione, è come se non fosse mai successo nulla. A livello giuridico, almeno...

Consci di questa conseguenza non sempre piacevole o auspicabile, alcuni potrebbero anche legittimamente pensare di non accettare alcun compenso per il danno patito (basti pensare ad esempio al danno d'immagine per la reputazione rovinata da una voce di corridoio infondata) e quindi di andare avanti con il processo. Ebbene, qui casca il proverbiale asino: è infatti espressamente previsto dal nuovo art. 162 ter c.p. che il querelato possa effettuare la propria riparazione anche tramite offerta reale come regolata dal Codice Civile.
Senza aprire una parentesi troppo grande, l'offerta reale è quel meccanismo previsto dall'art. 1208 e seguenti del Codice Civile, grazie al quale un debitore che si voglia liberare di un pagamento che il creditore non voglia accettare, può depositare un'offerta reale al creditore tramite un ufficiale giudiziario e liberarsi così a tutti gli effetti del proprio debito. Con questo stesso procedimento, un querelante che vorrebbe giustizia invece di soldi, nel caso in cui volesse rifiutare l'offerta si ritroverebbe invece obbligato ad accettare o a sperare che il giudice ritenga insufficiente il pagamento e proseguire così con il processo invece di estinguere tutto.

Questa nuova regolamentazione dell'istituto della querela ha un chiaro intento: risparmiare risorse dalla giustizia agevolando e promuovendo la risoluzione delle questioni fuori dalle aule di tribunale e prima del processo, tarpando le ali a tutti quei soggetti (effettivamente molesti) che infestano ed intasano le aule di tribunale con vertenze complessimanete poco influenti e che si potrebbero risolvere con un po' di buon senso. Piccole questioni che ora questi stessi soggetti saranno obbligati a risolvere accettando il buon senso altrui... se non vogliono loro per primi usare la querela come mezzo per forzare la mano e costringere gli altri a ripagare il dovuto.
Resta però un'incognita piuttosto grossa e per certi versi preoccupante: la nuova norma infatti usa la clausola di salvaguardia di rendere questo nuovo meccanismo inapplicabile alle fattispecie per cui la querela è irrevocabile: peccato che queste stesse fattispecie siano drammaticamente poche, troppo poche. E quelle che destano maggiore allarme sociale o che possono creare i maggiori danni a lungo termine siano escluse da questo ristretto novero: basti pensare ad esempio che lo stalking, la cui repressione è già di suo poco efficace e funzionale, è per lo più attivabile tramite una querela che si può sempre rimettere.
Di conseguenza, con questo nuovo tipo di querela, le persone danneggiate dai reati non si trovano più in mano il manico di un coltello, quanto più concretamente una sorta di cambiale in bianco: pressoché tutti sono ormai liberi di gettare fango addosso ad una persona o di perseguitarla, tanto per sfangarla basta pagare...

11/10/2017 - Aggiornamento
A seguito delle prime applicazioni della nuova legge e dei suoi effetti deleteri verso dei reati seri e non abbastanza seriamente considerati, è stato annunciato un emendamento della Riforma Orlando che dovrebbe intervenire in maniera strutturale per escludere lo stalking e altri reati dall'applicazione dell'art. 162 ter c.p.
Quando tale emendamento sarà approvato, si spera il prima possibile, si sarà finalmente messa almeno una pezza ad un'idea che già da principio avrebbe dovuto essere strutturata in maniera diversa. Come si suol dire, meglio tardi che mai.