venerdì 19 marzo 2021

Come rinunciare alla maternità?

Come è ben noto, nell'ordinamento italiano la famiglia ha un ruolo molto importante, tanto che vi sono diverse norme che cercano di offire la più ampia tutela ai suoi membri, prevedendo e a volte anche imponendo diritti e doveri della più ampia e diversa natura. Tra questi la potestà genitoriale riveste sicuramente un'importanza a dir poco centrale, tanto che la legge non consente di rinunciarvi o di perderla, se non per motivi di assoluta gravità... con un'unica grande eccezione, che riguarda la maternità. Pare doveroso premettere che non si parlerà del tema dell'aborto, in quanto non si può qualificare come una rinuncia a qualcosa che si viene a creare con la nascita di un figlio. Anzi, per molti versi la rinuncia alla maternità si configura esattamente agli antipodi di tale pratica ancor'oggi dibattuta.

La legge, nello specifico il DPR 396/2000, ha istituito e regolato uno strumento inedito, poco conosciuto e mai visto prima nell'ordinamento italiano: il parto anonimo in ospedale.
In base alla norma citata, è possibile per una donna che lo desideri partorire in ospedale e non riconoscere il proprio discendente, esprimendo quindi il diniego ad essere menzionata nell'atto di nascita di un "bambino vivo e vitale", qualsiasi ne siano le insindacabili ragioni. Di questo diritto ci si può avvalere indipendentemente dalla condizione economico-sociale e dallo stato civile della partoriente e questo ha altresì un ulteriore effetto potenziale: nel caso in cui la puerpera sia sposata ed eserciti questo diritto, sul figlio non riconosciuto dalla madre decade anche qualsiasi possibile presunzione di paternità che la legge altrimenti farebbe sussistere in capo al marito.
Si capisce quindi come questa facoltà messa a disposizione dalla legge e ancora poco usata possa consentire di preservare una vita ed i suoi diritti costituzionalmente garantiti, contrariamente all'aborto, e al tempo stesso alla madre di disinteressarsi completamente del destino del neonato qualsiasi sia la ragione alla base di tale scelta, per lasciarlo alle cure delle istituzioni e di altre famiglie interessate ad avere figli.

Il parto anonimo tuttavia non si limita ad apporre un codice specifico sugli atti da trasmettere agli ufficiali dello stato civile per registrare la nuova nascita senza il nome della madre, ma anche ha una serie di sviluppi e ramificazioni che non si possono dare per scontate e che saranno molto semplificate in questa sede: il bambino neonato ha infatti comunque diritto ad essere accudito ed allevato da una famiglia, anche se diversa da quella di sangue, e pertanto il presidio ospedaliero ha il dovere di avvertire il Tribunale dei Minori competente per territorio una volta decorso il termine perentorio di 15 giorni concessi alla madre per cambiare idea e riconoscere il proprio figlio: in tal modo l'autorità giudiziaria ha quindi modo e dovere di procedere quanto prima a porre il neonato abbandonato in stato di adottabilità, in modo che una famiglia idonea individuata dal Tribunale medesimo possa prendersene cura.

Le informazioni cliniche inerenti al parto invece non vengono semplicemente disperse o cancellate come si potrebbe pensare, bensì vengono archiviate dall'ospedale con tutte le cure per tenerle secretate: il codice della privacy prevede infatti che di tali atti possano esserne fatte copie solo a partire da cento anni dall'evento e che eventuali informazioni cliniche possano essere rivelate solo ove rilevanti e con ogni accortezza affinché il nome della madre non venga menzionato.
Questa cautela è opportuna per due ragioni. La prima di tutta evidenza è di carattere più squisitamente medico: qualsiasi informazione relativa a malattie o patologie congenite possono essere sempre rilevanti per formare la cartella clinica del neonato e in caso di necessità, tali informazioni sarebbero altrimenti molto difficili, se non impossibili da reperire, rendendo pertanto più difficoltoso o parimenti impossibile un adeguato trattamento terapeutico che si dovesse rendere necessario.
La seconda ragione della conservazione di tali dati è invece di natura giudiziaria: decorsi un considerevole numero di anni e superato anche il raggiungimento della maggiore età del figlio non riconosciuto, questi acquisisce la facoltà di chiedere all'autorità giudiziaria la possibilità di venire a conoscenza delle proprie vere origini ed è solo per tale tramite che l'autorità competente può ricavare le informazioni utili per ricercare e tentare di entrare in contatto con la madre. L'esito di tale contatto non è tuttavia né automatico né scontato, non solo perché le ricerche dell'autorità giudiziaria possono non avere successo, ma anche e soprattutto perché la legge consente ancora alla madre di perpetuare il proprio silenzio e di rifiutare quindi ogni possibilità di farsi riconoscere e di avere contatti con il figlio lasciato in ospedale tanti anni prima. E di fronte a tale diniego non c'è possibilità di appello. il diritto a conoscere le proprie origini si infrange secondo la legge contro il prevalente diritto alla riservatezza dell'origine stessa.

Da ultimo occorre segnalare qualcosa che dovrebbe essere ovvio, ma che purtroppo non si è rivelato tale: la facoltà del parto anonimo in ospedale non è consentita alle donne che abbiano fatto ricorso a procedimenti di procreazione medicalmente assistita. La ragione è presto detta: i trattamenti per la ricerca di un figlio non sono e non possono essere considerati un capriccio o un frutto di un desiderio transitorio e pertanto la legge richiede ed in questo caso pure impone coerenza a chi a tali trattamenti abbia fatto ricorso con successo per procreare una nuova vita che altrimenti non sarebbe stata concepita.

Come sarà ormai emerso con chiarezza, l'istituto del parto anonimo in ospedale non è stato concepito come antitesi all'aborto, ma copre altre esigenze di riservatezza e mira a contemperare diversi interessi di natura personale e sociale della madre con quelli più elementari di cura e di salute di cui un bambino non voluto, ma comunque nato ha in ogni caso diritto. Il fatto che possa configurarsi come un'alternativa all'aborto è un corollario sociale che potrebbe e forse dovrebbe essere preso in considerazione, sebbene la sua mira principale sia volta a contrastare quei fenomeni aberranti ed agghiaccianti dei bambini partoriti in segreto e gettati nell'immondizia come se fossero pattume, senza alcuna considerazione o rispetto per la vita di un neonato per supposte ragioni d'onore.
In simili casi, molto meglio rinunciare alla maternità e dare una possibilità alla vita piuttosto che farla nascere e sopprimerla nella spazzatura.

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