In data 8 marzo 2020, è stato emanato in Gazzetta Ufficiale il famigerato Decreto Urgente per cercare di contenere il Coronavirus. L'efficacia di tale provvedimento si prospettava già dubbia in partenza a causa della conclamata e clamorosa fuga di notizie che già la sera precedente ha fatto circolare diverse bozze del medesimo decreto. Il fatto che tale informazione sia divenuta di dominio pubblico con un tempismo tanto inopportuno non solo ha una ancora possibile rilevanza penale per epidemia ai sensi dell'art. 656 del Codice Penale, ma è stato altresì deleterio per il mantenimento dell'ordine pubblico, unitamente a programmi, talk show e addirittura una conferenza stampa dello stesso Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che preannunciava l'intento di attuare per decreto l'intento di cui si stava già da giorni discutendo: l'effetto, com'era altresì prevedibile e quasi scontato, ha infatti generato la ben nota fuga preventiva di moltissime persone dalla Stazione Centrale di Milano e in generale da quasi tutti gli snodi ferroviari verso tutto il resto d'Italia (e forse non solo) prima della promulgazione e dell'attuazione del Decreto. Questo caso, prima ancora che all'eventuale giudizio della legge per ipotesi di epidemia o di reati colposi contro la salute, è rimesso al giudizio della pubblica morale e potrebbe probabilmente rientrare come menzione disonorevole nei libri di storia e di sociologia.
Il Decreto in sé è un testo uscito in un momento improvvido e con un colpevole ritardo, è stato solo il primo di una serie di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (meglio noti con l'abbreviazione D.P.C.M.) che hanno disposto una serie di sempre più numerose e stringenti limitazioni alle varie facoltà e libertà di attività e di movimento, sempre sulla scia di un'emergenza continua, ma senza mai arrivare a rafforzare tali misure restrittive con temporanee nuove ed incisive misure penali o con richiami espressi a norme più incisive, lasciando l'adattamento alle ordinanze degli enti locali: l'unica norma espressamente richiamata è l'art. 650 del Codice Penale. Si tratta di un reato che non è legalmente considerato di particolare gravità ed è inquadrato legalmente tra le cosiddette "contravvenzioni", ossia quelle figure di reato reputate minori e che hanno una qualificazione diversa e più leggera nelle sanzioni e nel modo di applicarle.
Tale omessa previsione si deve essere ampiamente diffusa, in quanto molta gente ha deciso di non rimanere ligia alle prescrizioni, tanto che è nota la notizia per cui il numero dei denunciati per l'inosservanza dei decreti è divenuto addirittura superiore al numero dei contagiati dal Covid-19.
Non è questa la sede per discutere dei profili morali dell'opportunità delle condotte tenute e della severità dei controlli adottati, che peraltro hanno pure permesso di scoprire con maggiore facilità altri reati, perché è rilevante invece osservare come da questa inosservanza sia legalmente possibile difendersi in maniera tutto sommato agevole.
Occorre tuttavia dare un'avvertenza preliminare: le indicazioni che seguiranno non devono in alcun modo essere ritenute una scusa per uscire impunemente, perché si tratta di un percorso che può essere utilizzato praticamente una volta sola, unicamente nel caso in cui si venga imputati esclusivamente del reato di cui all'art. 650 del Codice Penale e in ogni caso, per ragioni che verranno esposte a breve, è un percorso oneroso in termini di tempo e di denaro.
Come evidenziato poco sopra, la sanzione per l'inosservanza del decreto è una contravenzione, ossia una forma di reato complessivamente ritenuta minore dal Codice Penale; inoltre questa figura di reato è punita con una pena alternativamente detentiva o pecuniaria, in entrambi i casi di portata complessivamente lieve e facile da eseguire... ma tale lievità è di fatto ingannevole: per quanto si possa giustamente ritenere un sacrificio di poco conto dover pagare un'infrazione alle regole con qualche mese di arresti domiciliari o un'ammenda di poche centinaia di euro, c'è però un costo nascosto a lungo termine che è facile sottovalutare. Nel vocabolario comune, la multa e l'ammenda sono diventate parole di uso abbastanza comune e indicano genericamente la sanzione amministrativa che viene comminata per una violazione del codice stradale, ma tale indicazione è radicalmente sbagliata, perché multa e ammenda non sono sanzioni di quel genere, ma sono delle sanzioni penali e in questo caso il pagamento di una sanzione comminata per la violazione dell'art. 650 costituirebbe un precedente registrato nel proprio casellario giudiziale, ossia sulla cosiddetta fedina penale, con tutte le spiacevoli conseguenze future legate al fatto di essere dei pregiudicati.
Tuttavia il pagamento della sanzione non è l'unica opzione disponibile: per le contravvenzioni che confluiscono nei cosiddetti "affari semplici" esiste anche la possibilità di un giudizio accelerato ed alternativo, ossia in un decreto penale di condanna, tramite il quale si ordina al destinatario di pagare la somma prevista entro un certo lasso di tempo. Il pagamento in questo caso non va effettuato, perché altrimenti costituirebbe l'esecuzione di una condanna penale e a ciò conseguirebbe inevitabilmente l'annotazione del precedente penale. Occorre invece procedere a contestare tale decreto penale di condanna e chiedere con tale opposizione di poter accedere alle misure alternative, tra le quali la più conveniente è di sicuro l'oblazione.
Tale misura è accessibile quando la legge prevede la pena pecuniaria dell'ammenda o dell'arresto e la giurisprudenza ha esteso tale accessibilità anche ai casi in cui l'ammenda sia prevista in concomitanza con l'arresto. L'oblazione consiste nel pagamento di una somma pari alla metà della pena massima prevista dalla legge per il reato per non far avviare il processo penale e soprattutto per estinguere il reato e mantenere così la fedina penale immacolata e deve essere necessariamente richiesta prima dell'apertura del dibattimento penale.
Occorre prestare attenzione al ricorso a tale procedura, perché la concessione di tale misura deve essere appunto richiesta ed è ruolo e compito di un giudice valutarne le condizioni e l'ammissibilità caso per caso e quindi riuscire ad accedere a tale misura non è un privilegio automatico. Inoltre, stante l'obbligo di difesa tecnica vigente in Italia, non è possibile intraprendere questo percorso difensivo in autonomia, ma è necessario fare sempre e comunque ricorso ad un avvocato: pertanto salvarsi da un'imputazione ex art. 650 (e sempre ammesso che non vi siano pure altre imputazioni connesse che rendano inutile tutto quanto descritto in precedenza) è in sé abbastanza facile, ma non scontato e comunque oneroso, non solo per la somma di denaro da versare in oblazione, ma anche e soprattutto perché l'obbligo di rappresentanza tecnica non implica anche che tale obbligo sia adempiuto in maniera gratuira e quindi sarà da pagare di tasca propria anche e soprattutto l'onorario dell'avvocato che dovrà lavorare e rappresentare in tribunale chi sarà denunciato per violazione dei vari decreti in continua approvazione. E in tempi di Covid-19, con tutte le attività giurisdizionali soggette a rallentamenti e sovraccarichi ulteriori rispetto a quelli già elefantiaci dei tempi normali, attendere una notizia di oblazione e soddisfare l'onorario del legale rappresentante possono costituire il più oneroso dispendio di tempo e di soldi, che forse fanno meglio rivalutare l'ipotesi di non correre rischi inutili per il portafoglio, oltre che per la salute.
Aggiornamento del 24/3/2020: con nuovo decreto, il Governo ha deciso di sostituire la sanzione ex art. 650 del Codice Penale con una sanzione amministrativa variabile da 400 a 3.000 €.
Tale modifica è sostanziale in una duplice maniera: in primo luogo, risparmia allo Stato e ai soggetti in flagrante violazione un iter processuale penale lungo e non particolarmente opportuno in un momento come quello di emergenza sanitaria che stiamo vivendo e allo stesso tempo il governo si assicura una sanzione nei fatti più efficace perché più veloce da comminare ed incassare e che resta pendente quasi quanto una condanna penale.
In seconda analisi, tutti coloro che sono stati denunciati per la violaione del precedente decreto tornaranno liberi e il procedimento avviato nei loro confronti dovrebbe prevedibilmente decadere proprio a seguito del cambio di regime e in tali casi l'ordinamento penale prevede per regola generale che in caso di mutazione del quadro normativo si ha sempre l'applicaione del regime più favorevole al reo: in questo caso, la sostanziale depenalizzazione delle violazioni delle disposizioni del Decreto sopra descritto dovrebbe comportare per logica conseguenza l'archiviazione di tutte le migliaia di denunce di cui si è avuta notizia.
Questa modifica non deve però indurre a pensare che le maglie e le restrizioni siano allentate o che si introduca un regime più facile, perché una sanione è pur sempre presente e rischia di essere molto più onerosa del mero blando rimando ad una contravvenzione passibile di oblazione: per una sanzione amministrativa non ci sono infatti sconti possibili e i tempi non si dilatano all'infinito.
Tale omessa previsione si deve essere ampiamente diffusa, in quanto molta gente ha deciso di non rimanere ligia alle prescrizioni, tanto che è nota la notizia per cui il numero dei denunciati per l'inosservanza dei decreti è divenuto addirittura superiore al numero dei contagiati dal Covid-19.
Non è questa la sede per discutere dei profili morali dell'opportunità delle condotte tenute e della severità dei controlli adottati, che peraltro hanno pure permesso di scoprire con maggiore facilità altri reati, perché è rilevante invece osservare come da questa inosservanza sia legalmente possibile difendersi in maniera tutto sommato agevole.
Occorre tuttavia dare un'avvertenza preliminare: le indicazioni che seguiranno non devono in alcun modo essere ritenute una scusa per uscire impunemente, perché si tratta di un percorso che può essere utilizzato praticamente una volta sola, unicamente nel caso in cui si venga imputati esclusivamente del reato di cui all'art. 650 del Codice Penale e in ogni caso, per ragioni che verranno esposte a breve, è un percorso oneroso in termini di tempo e di denaro.
Come evidenziato poco sopra, la sanzione per l'inosservanza del decreto è una contravenzione, ossia una forma di reato complessivamente ritenuta minore dal Codice Penale; inoltre questa figura di reato è punita con una pena alternativamente detentiva o pecuniaria, in entrambi i casi di portata complessivamente lieve e facile da eseguire... ma tale lievità è di fatto ingannevole: per quanto si possa giustamente ritenere un sacrificio di poco conto dover pagare un'infrazione alle regole con qualche mese di arresti domiciliari o un'ammenda di poche centinaia di euro, c'è però un costo nascosto a lungo termine che è facile sottovalutare. Nel vocabolario comune, la multa e l'ammenda sono diventate parole di uso abbastanza comune e indicano genericamente la sanzione amministrativa che viene comminata per una violazione del codice stradale, ma tale indicazione è radicalmente sbagliata, perché multa e ammenda non sono sanzioni di quel genere, ma sono delle sanzioni penali e in questo caso il pagamento di una sanzione comminata per la violazione dell'art. 650 costituirebbe un precedente registrato nel proprio casellario giudiziale, ossia sulla cosiddetta fedina penale, con tutte le spiacevoli conseguenze future legate al fatto di essere dei pregiudicati.
Tuttavia il pagamento della sanzione non è l'unica opzione disponibile: per le contravvenzioni che confluiscono nei cosiddetti "affari semplici" esiste anche la possibilità di un giudizio accelerato ed alternativo, ossia in un decreto penale di condanna, tramite il quale si ordina al destinatario di pagare la somma prevista entro un certo lasso di tempo. Il pagamento in questo caso non va effettuato, perché altrimenti costituirebbe l'esecuzione di una condanna penale e a ciò conseguirebbe inevitabilmente l'annotazione del precedente penale. Occorre invece procedere a contestare tale decreto penale di condanna e chiedere con tale opposizione di poter accedere alle misure alternative, tra le quali la più conveniente è di sicuro l'oblazione.
Tale misura è accessibile quando la legge prevede la pena pecuniaria dell'ammenda o dell'arresto e la giurisprudenza ha esteso tale accessibilità anche ai casi in cui l'ammenda sia prevista in concomitanza con l'arresto. L'oblazione consiste nel pagamento di una somma pari alla metà della pena massima prevista dalla legge per il reato per non far avviare il processo penale e soprattutto per estinguere il reato e mantenere così la fedina penale immacolata e deve essere necessariamente richiesta prima dell'apertura del dibattimento penale.
Occorre prestare attenzione al ricorso a tale procedura, perché la concessione di tale misura deve essere appunto richiesta ed è ruolo e compito di un giudice valutarne le condizioni e l'ammissibilità caso per caso e quindi riuscire ad accedere a tale misura non è un privilegio automatico. Inoltre, stante l'obbligo di difesa tecnica vigente in Italia, non è possibile intraprendere questo percorso difensivo in autonomia, ma è necessario fare sempre e comunque ricorso ad un avvocato: pertanto salvarsi da un'imputazione ex art. 650 (e sempre ammesso che non vi siano pure altre imputazioni connesse che rendano inutile tutto quanto descritto in precedenza) è in sé abbastanza facile, ma non scontato e comunque oneroso, non solo per la somma di denaro da versare in oblazione, ma anche e soprattutto perché l'obbligo di rappresentanza tecnica non implica anche che tale obbligo sia adempiuto in maniera gratuira e quindi sarà da pagare di tasca propria anche e soprattutto l'onorario dell'avvocato che dovrà lavorare e rappresentare in tribunale chi sarà denunciato per violazione dei vari decreti in continua approvazione. E in tempi di Covid-19, con tutte le attività giurisdizionali soggette a rallentamenti e sovraccarichi ulteriori rispetto a quelli già elefantiaci dei tempi normali, attendere una notizia di oblazione e soddisfare l'onorario del legale rappresentante possono costituire il più oneroso dispendio di tempo e di soldi, che forse fanno meglio rivalutare l'ipotesi di non correre rischi inutili per il portafoglio, oltre che per la salute.
Aggiornamento del 24/3/2020: con nuovo decreto, il Governo ha deciso di sostituire la sanzione ex art. 650 del Codice Penale con una sanzione amministrativa variabile da 400 a 3.000 €.
Tale modifica è sostanziale in una duplice maniera: in primo luogo, risparmia allo Stato e ai soggetti in flagrante violazione un iter processuale penale lungo e non particolarmente opportuno in un momento come quello di emergenza sanitaria che stiamo vivendo e allo stesso tempo il governo si assicura una sanzione nei fatti più efficace perché più veloce da comminare ed incassare e che resta pendente quasi quanto una condanna penale.
In seconda analisi, tutti coloro che sono stati denunciati per la violaione del precedente decreto tornaranno liberi e il procedimento avviato nei loro confronti dovrebbe prevedibilmente decadere proprio a seguito del cambio di regime e in tali casi l'ordinamento penale prevede per regola generale che in caso di mutazione del quadro normativo si ha sempre l'applicaione del regime più favorevole al reo: in questo caso, la sostanziale depenalizzazione delle violazioni delle disposizioni del Decreto sopra descritto dovrebbe comportare per logica conseguenza l'archiviazione di tutte le migliaia di denunce di cui si è avuta notizia.
Questa modifica non deve però indurre a pensare che le maglie e le restrizioni siano allentate o che si introduca un regime più facile, perché una sanione è pur sempre presente e rischia di essere molto più onerosa del mero blando rimando ad una contravvenzione passibile di oblazione: per una sanzione amministrativa non ci sono infatti sconti possibili e i tempi non si dilatano all'infinito.
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