sabato 24 giugno 2017

Due parole sulla Brexit

Lo spazio "Parliamo di Diritto" è nato, come suggerisce il titolo, per parlare di diritto e il tema della cosiddetta “Brexit” a prima vista non vi rientra in senso stretto; tuttavia la notizia e gli avvenimenti che da un anno a questa parte si sono succeduti hanno in sé diversi risvolti che con il diritto hanno a che vedere in molte maniere, tante che forse non è nemmeno possibile analizzarle tutte appropriatamente in un'unica sede e con un'unica riflessione.

Tutta questa situazione è nata da un istituto che ho già avuto modo di affrontare altre volte e che devo citare nuovamente, dal momento che è alla base di tutto: il referendum, ovvero la consultazione popolare, strumento della cosiddetta “democrazia diretta” con la quale tutti i cittadini sono chiamati ad esprimere la propria opinione in merito a determinati temi ed in alcune forme che variano a seconda del tipo di referendum indetto e a seconda del valore legalmente vincolante che sia eventualmente riconosciuto a quel determinato tipo di referendum.
In Inghilterra, com'è ormai notorio, se ne è tenuto uno per chiedere ai cittadini del Regno Unito se fossero favorevoli a rimanere o ad andarsene dall'Unione Europea. Il risultato non ha bisogno di essere specificato; quello che va invece rimarcato e che quasi nessuno sembra tenere in considerazione è un altro fatto, ovvero che il referendum sulla Brexit è un referendum di tipo consultivo. Che, tradotto in termini meno giuridico-burocratici, significa che quella espressa è un'opinione che dal punto di vista legale poteva essere scritta anche sulla carta igienica e vale praticamente poco più di un sondaggio, perché si tratta di un mezzo di espressione ufficiale del popolo e non è né commissionato da qualcuno né svolto da un'agenzia più o meno terza... ma non ha comunque valore vincolante.
Per chi se lo ricorda, in occasione del famoso secondo referendum sul nucleare, a Milano si è votato per ben altri cinque quesiti referendari limitati alla sola sfera del Comune da poco eletto: anche quelli erano referendum consultivi e indipendentemente dal risultato di ciascuno di essi, sono tutti rimasti lettera morta: non si è realizzato nulla di quanto richiesto e le intenzioni espresse dai cittadini sono rimaste inascoltate ed inattuate.

Nel caso invece del referendum inglese, nessuno a nessun livello ha mai tenuto conto del fatto che la popolazione poteva essere tranquillamente ignorata da un punto di vista legale, perché ha solo espresso su un pezzetto di carta un'opinione come chiunque può esprimerla, anche se in quel caso è stato possibile in una forma molto sintetica e senza poterne dare alcuna ragione.
Si potrà legittimamente obiettare che un'azione del genere sarebbe tradire la volontà popolare, pur ammettendo che non ha valore legale... come se la mancata attuazione del brocardo “vox populi vox dei” fosse peraltro una novità assoluta ed inaudita nel panorama non solo europeo e nella storia politica più o meno recente (basti di nuovo citare l'esempio dei referendum consultivi di Milano). Ma affrontare una questione di tale tenore significa addentrarsi in un campo più squisitamente politico e ci sono già commentatori migliori di me sul tema.
Tornando ad una discussione più marcatamente incentrata sul diritto, una fuoriuscita dall'Unione Europea è un atto che è effettivamente senza precedenti e anche se sono previste ormai delle norme che permettano l'uscita di un Paese dall'Unione (disposizione peraltro originariamente nemmeno presa in considerazione dai Trattati istitutivi delle varie formazioni europee ed aggiunta solo in tempi molto più recenti), tali norme non sono mai state concretamente attuate e sperimentate e vi è quindi il rischio che da questo atto possano discendere anche profili non previsti e al momento non adeguatamente regolati, così come molti altri profili del diritto europeo ed internazionale in genere.
Inoltre si è dato voce ad un motto spesso utilizzato con risultati piuttosto ballerini, ovvero il famoso “fare presto, fare bene”: com'è di tutta evidenza, non si tratta di una questione bagatellare che possa essere risolta con pochi sforzi ed una sostanziale pacca sulle spalle, ma è qualcosa che va normato e regolato sotto tutti i profili, perché tutti i profili vengono toccati.  E già il primo risultato in questo senso si è  visto ed avuto, con lo svolgimento di elezioni anticipate che in Gran Bretagna avrebbero dovuto generare un governo più coeso per una Brexit più stabilmente portata avanti e hanno invece portato alla formazione di un governo ancora più debole di quello sciolto anticipatamente lo scorso anno... è stato quindi fatto presto, ma sul "bene" i risultati parlano da sé.
Data la premessa, nei prossimi anni vi possono essere diversi scenari possibili e non tutti positivi, ma in ogni caso già da un anno a questa parte sono stati messi in discussione i Quattro Pilastri, le quattro libertà fondamentali che regolano il funzionamento e che stanno alla base del mercato unico e dell'Unione Europea... da un punto di vista bilaterale e reciproco, dall'Unione Europea all'Inghilterra e viceversa. In estrema sintesi, tutti i rapporti nati e basati sul diritto comunitario e sull'appartenenza all'Europa, intesa come formazione politica ed ente sovranazionale, possono essere concretamente messi in discussione e dando valore legale a ciò che ha un valore casomai politico e praticamente tutti i rapporti di diritto delle persone fisiche e giuridiche rischiano una seria revisione, se non una vera e propria rivoluzione... anche se forse non nel senso più positivo dell'espressione.
È altresì indubbio come quello inglese sia un forte gesto di rottura e le autorità si sono già affrettate a dire all'indomani del referendum che “questo non è l'inizio della fine dell'Unione Europea”.

Probabilmente è ancora troppo presto per fare pronostici in merito e gli scenari che si aprono sono vasti e sono anche tanti e variegati per ottimismo e realismo. Quello che è certo è che la data del 24 giugno 2016 segna la fine di un'epoca, coincidente con la fine dell'ideologia e dell'ideale dell'Europa politica così com'era stato figurato fino a quel momento, quella di un'ente forte, con i suoi problemi, ma sempre in espansione e da cui si poteva solo entrare per stare tutti assieme e meglio ed uscirne era un'idea tanto impensabile quanto inverosimile e catastrofica.
Non è questa la sede per prospettare ed analizzare tutti gli scenari e gli sviluppi possibili, tuttavia sorge spontanea una domanda: gli Inglesi hanno dato davvero avvio al già evocato “inizio della fine” oppure con il loro strappo hanno fatto invece un favore all'Unione Europea indicandole che ormai una sua riforma profonda (di tutti i suoi assetti politici e di ordinamento) è ormai necessaria e non più rinviabile?
Come sempre, ai posteri l'ardua sentenza.

giovedì 22 giugno 2017

Cronaca di una legittima difesa

La notizia è recente e ha suscitato qualche attenzione non solo a livello locale: a Villongo, un paesino della Val Calepio, un uomo è stato travolto ed ucciso da un'auto. Tuttavia, a differenza di tanti altri casi che hanno un analogo incipit, non si tratta dell'ennesimo incidente stradale, bensì di episodio ben diverso.
Un individuo, un carpentiere albanese pericoloso e con precedenti penali, aveva preso di mira un'impiegata del Comune di Villongo e l'aveva perseguitata fino al punto da spingere la donna a sporgere denuncia proprio ai sensi dell'art. 612 bis, ovvero appunto del tristemente noto reato di stalking. Nonostante questo atto, l'uomo è andato avanti imperterrito a perseguitare la donna, con intenzioni ben chiare e tutt'altro che piacevoli. Anzi, l'uomo si fatto addirittura più audace e negli ultimi appostamenti pare si fosse portato dietro pure un coltello, con il quale aveva anche ferito la sua vittima in altre occasioni, dimostrando in questo modo la sua spiccata pericolosità. E l'ultimo appostamento del 19 giugno non ha fatto eccezione: il persecutore si è nascosto armato di coltello fino a vedere l'oggetto della sua ossessione, l'ha sorpresa e ferita nuovamente... ma per sua fortuna, l'impiegata comunale è riuscita a salire in macchina.
L'albanese però non si è dato per vinto e l'ha raggiunta e allora la donna si è data alla fuga accendendo il motore e partendo in retromarcia, con l'uomo che si è appeso allo specchietto della macchina e non ha mollato l'inseguimento, finendo pertanto investito e ferito. La donna, accortasi dell'accaduto, ha tuttavia avuto abbastanza presenza di spirito da fermarsi e chiamare lei stessa i soccorsi, che tuttavia non sono serviti a salvare il persecutore.

A questo punto possono partire le speculazioni in termini legali.
Una prima visione superficiale parrebbe configurare un caso di investimento e del reato da poco introdotto di "omicidio stradale" per via dell'investimento procurato, a cui non si può aggiungere anche l'omissione di soccorso perché la donna non è comunque scappata e si è anzi attivata per chiamare personale più competente dal punto di vista medico.
Tuttavia questa ipotesi è sconfessata dalla ricostruzione dei fatti ed è invece maggiormente configurabile un'ipotesi di legittima difesa: non si può infatti ignorare il fatto che la donna non ha volontariamente investito l'uomo e l'albanese non era un semplice passante sulle strisce pedonali investito da un'auto troppo veloce. La situazione era anzi ben diversa, in quanto l'uomo ha messo in atto un'aggressione violenta ai danni della donna e ha quindi causato una situazione di pericolo per lei, alla quale ha reagito fuggendo. L'uomo non ha desistito di fronte alla fuga della donna e l'ha inseguita, mantenendo intatta la minaccia e la situazione di pericolo, fino a mettersi in mezzo nel percorso della macchina.
Inoltre manca qualsiasi elemento che possa lasciar supporre che la vittima sia in qualche modo "passata al contrattacco" e abbia cercato volontariamente di investire l'uomo che l'aveva perseguitata ed aggredita. Lo dimostra al contrario il fatto che la donna, mostrando molta più pietà ed umanità del suo aggressore, sia rimasta in loco e abbia chiamato i soccorsi.
In tutto questo, gli atti compiuti si possono pertanto qualificare e scusare, da parte dell'ordinamento, con la legittima difesa, in quanto la donna è stata sotto pericolo costante e duraturo e la sua reazione è stata tutt'altro che aggressiva, ma è stata anzi limitata e contenuta, volta a salvarsi la vita e a sottrarsi al pericolo, senza ricorrere ad armi o a violenza, ma cercando solo il rifugio della propria macchina, a cui l'albanese si è aggrappato irrazionalmente fino all'ultimo per continuare la propria opera ingiusta.

Questo almeno era il quadro fino a poco tempo fa: ad oggi è stata infatti avanzata da parte dei fratelli del defunto persecutore una richiesta di accertamenti, adducendo circostanze che devono essere verificate. Su tale base è stato quindi aperto un fascicolo per omicidio colposo, un atto dovuto e allo stato un passaggio meramente formale per permettere gli accertamenti che, nell'ipotesi più probabile, dovrebbero confermare quanto già emerso e chiudere la vicenda con un'archiviazione per cui nulla è dovuto a nessuno.
Purtroppo, a causa della richiesta degli altri albanesi, per mettere la parola fine a questa vicenda occorre adesso aspettare la sentenza del G.I.P.
Che alla luce della nuova riforma del diritto penale, potrebbe arrivare molto presto...

mercoledì 7 giugno 2017

A proposito della sentenza su Riina...

Quando si ha a che fare con determinati argomenti e con determinate situazioni è sempre bene trattare con i guanti ogni singolo dato ed analizzare in maniera oggettiva ogni punto, tanto più quando si viene ad esaminare casi eccellenti e delicati come quello del boss mafioso Totò Riina.
Sulla figura criminale del soggetto citato non è il caso di dilungarsi in questa sede: la storia da sola basta a dare tutte le prove e le dimostrazioni del caso. Quello di cui invece è utile e opportuno discutere, soprattutto alla luce degli articoli di clamoroso effetto mediatico usciti di recente, è la recente sentenza n. 27766 emanata lo scorso 5 giugno dalla I Sezione Penale della Corte di Cassazione.
A dare una prima occhiata ai soliti titoli roboanti che vogliono fare effetto e presa sul pubblico e alla diffusione di post e reazioni di ogni tipo, parrebbe che la Suprema Corte abbia sancito e garantito per Totò Riina il diritto a morire con dignità, la stessa dignità che è stata negata alle sue vittime dall'operato diretto o indiretto di Riina (e cercare di negare o smentire questo dato di fatto sarebbe quantomeno imbarazzante...). Tuttavia la Cassazione non ha affatto sancito questo e l'affermazione mediatica è viziata da molti errori e prese di posizione superficiali.

Innanzitutto la Cassazione è una corte di legittimità: questo significa che si occupa di giudicare le vicende sottoposte al suo giudizio solo ed esclusivamente dal punto di vista del diritto e della sua applicazione, senza entrare nel merito di nessuna vicenda e senza nemmeno avere il potere per farlo, in quanto la sua funzione è un'altra, che è appunto quella di pronunciarsi su come il diritto debba essere interpretato, a volte risolvendo questioni anche piuttosto complesse.
Chiarita questa prima fondamentale premessa, si potrà comprendere meglio quindi come non sia nemmeno possibile e anzi sia un dato addirittura falso che la Cassazione abbia potuto sancire una pronuncia di merito come quella che uno specifico condannato abbia diritto a morire in un dato modo o che abbia potuto addirittura decidere nel merito che quello stesso soggetto debba essere scarcerato. Perché, sorpresa delle sorprese, ancora non si è deciso nulla!
Che cosa quindi è successo realmente?
Per capirlo bisogna fare un passo indietro, addirittura a maggio 2016: il difensore di Riina, a seguito delle varie perizie e visite mediche, ha presentato un'istanza al Tribunale di Sorveglianza di Bologna, competente a giudicare nel merito lo svolgimento del trattamento carcerario e le varie richieste presentate dagli avvocati dei condannati nel proprio distretto di competenza. Questa istanza richiedeva ai giudici o il differimento della pena o la concessione degli arresti domiciliari a causa del conclamato stato di salute del capo mafioso, ma l'istanza stessa è stata respinta, con tanto di motivazioni inerenti sia la compatibilità tra lo stato di salute di Riina e la sua detenzione sia la sua pericolosità sociale ancora attuale. Le motivazioni tuttavia non sono state reputate così inoppugnabili e sufficienti a chiudere la questione in quella fase e l'avvocato di Riina ha quindi proposto appello in Cassazione... e la Suprema Corte, nel pieno e legittimo svolgimento delle sue funzioni, ha ritenuto che il rigetto operato dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna non fosse sufficientemente motivato e ha quindi chiesto al medesimo Tribunale di Sorveglianza di valutare meglio e più in concreto la situazione (com'è compito e competenza di tale corte fare), fornendo pertanto una motivazione più completa e precisa e, in definitiva, creando un atto completo che spieghi a tutti e al di là di ogni dubbio la propria decisione e la meritevolezza dei provvedimenti presi.
In altre parole, la Cassazione ha detto di guardare, valutare e controllare meglio quanto fatto fino ad ora riguardo al caso di Totò Riina, affinché tutto sia fatto secondo la legge e non si possa dare adito a reclami di sorta.

L'equivoco nasce dal fatto che la Cassazione, come già detto, non ha potuto sancire un principio tale per cui Riina merita una morte dignitosa, ma nel rinviare la decisione alla corte bolognese ha operato un richiamo ai principi dell'ordinamento in materia di trattamento carcerario, principi sanciti non solo dai primi articoli dell'ordinamento penitenziario, ma ancora più in alto dalla Costituzione e anche dai trattati europei, in particolare dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (la cosiddetta CEDU): principi che sanciscono la dignità e l'umanità dei trattamenti carcerari per tutti indistintamente, senza eccezioni, in quanto facenti parte del modo di essere dell'Italia e dell'Europa.
La rabbia derivante dalla possibilità che si possa parlare di diritti nei confronti di un individuo del genere, che ha commesso e fatto commettere atrocità tali da far dubitare che sia egli stesso un essere umano e che ha negato gli stessi diritti a tante altre persone, è più che comprensibile e nel corso del tempo gli saranno stati augurati i peggiori mali del mondo... ma vale davvero la pena ridursi in concreto e adesso ad essere individui dello stesso genere? Vale la pena creare un'eccezione alle leggi e alla struttura stessa dello Stato, pur per un individuo che nulla meriterebbe?
Perché fare una cosa del genere significa in sostanza buttare la Costituzione e l'ordinamento intero per ritornare ai tempi e alle ideologie del fascismo; significa andare ad adottare in tutto e per tutto la cultura e il regredito approccio americano; significa farsi sanzionare dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come mai prima d'ora e diventare lo zimbello d'Europa... e significa, in ultima istanza, gettare al vento tutti gli anni e gli sforzi fatti da tanti eroi italiani per darla vinta alla cultura e ai metodi mafiosi.
Il tutto per cosa?