Pare doveroso premettere che i vari quesiti verranno trattati in ordine di facilità di trattazione e non di presentazione.
Quesito sull'incadidabilità
Il primo dei quesiti da esaminare è
quello relativo al decreto legislativo 235 del 31 dicembre 2012 ed è
in apparenza facile: si chiede agli italiani se si voglia abrogare un
decreto che, scritto in questo modo, può suonare totalmente anonimo
e pressoché indifferente, uno tra i tanti esistenti. Pure la
specificazione del titolo ufficiale del decreto legislativo, ossia il
fatto che si tratti di un Testo Unico, potrebbe non suggerire nulla
all'osservatore casuale.
Tuttavia il decreto in questione non è
così privo di importanza nella storia legislativa recente, perché
di fatto si tratta di uno dei quattro decreti che hanno dato
attuazione a quella che è meglio nota come Legge Severino e, nello
specifico, quello su cui si concentra il quesito referendario è il
decreto che prevede la decadenza e l'incandidabilità per sei anni di
chiunque ricopra un incarico pubblico o una carica politica (persino
quella di membro italiano del Parlamento Europeo) e venga condannato
penalmente a più di due anni di reclusione per un reato non colposo.
Ci sarebbe da chiedersi perché venga richiesta l'abrogazione di
quella che sembra una norma di un certo peso e calibro, adottata dal
Governo Monti per cercare di contrastare il fenomeno della corruzione
nei pubblici uffici e non solo.
La ragione potrebbe essere di carattere
generale e bisogna ricordare come sia già previsto dal Codice Penale
che i giudici siano in grado di infliggere non solo una condanna
pecuniaria o alla reclusione, ma anche delle ulteriori sanzioni
accessorie per rendere più efficace la sanzione principale qualora
il caso richieda maggiori attenzioni... e tra queste misure
accessorie vi sono anche la sospensione o addirittura l'interdizione
perpetua dai pubblici uffici, che comportano di per sé la decadenza
e l'impossibilità di assumere nuovamente qualsiasi carica pubblica.
Il decreto in questione invece ha reso automatica questa sanzione
accessoria, togliendo ogni facoltà ai giudici di studiare il caso
specifico con una presunzione assoluta di gravità ed indegnità a
ricoprire una carica pubblica per la condanna riportata, ma si tratta
comunque di un testo di una certa importanza e produttiva di numerosi
altri effetti rilevanti contro la corruzione e contro coloro che
riportano condanne per reati non colposi, ossia contro coloro che
comunque hanno voluto commettere un reato e hanno preparato la loro
azione criminosa.
La Legge Severino è forse
perfettibile, come molte leggi attualmente in vigore: sarebbe
auspicabile che venga aggiornata ai cambiamenti intervenuti in dieci
anni di pratiche e di casistiche giudiziarie o è più utile
distruggere l'intero testo del decreto legislativo per dare un
maggior potere discrezionale ai giudici? Il 12 giugno l'ardua
sentenza popolare...
Quesito sulla custodia cautelare
Un tema da sempre piuttosto spinoso in tema giudiziario riguarda la cosiddetta “carcerazione preventiva” soprattutto quando si verificano delitti di particolare gravità, omicidi in primis.
Quella della custodia cautelare in carcere e quella appena più tenue dei cosiddetti “arresti domiciliari” sono misure cautelari che possono essere adottate, assieme ad altre misure più tenui, dal Giudice per le Indagini Preliminari (meglio noto come GIP) con provvedimenti che devono essere sempre motivati. A rigor di legge, tali provvedimenti sono delle misure da prendersi solo ove strettamente necessario per garantire il miglior svolgimento delle indagini e devono essere adottati per prevenire ed impedire che l'indagato possa porre in essere tre specifici pericoli per le indagini: fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del medesimo reato.
La richiesta referendaria può essere encomiabile negli intenti, ma non se ne comprende bene l'utilità o la necessità: togliere ai Giudici per le Indagini Preliminari la possibilità di adottare una motivazione non porterebbe alcun reale cambiamento al quadro attuale, in quanto non intaccherebbe infatti la possibilità che si possa comunque abusare delle due ragioni rimanenti non toccate dal quesito in esame; allo stato attuale, evitare l'eccesso di carcerazione preventiva può passare solo per altre misure che non sono attualmente previste da alcuna legge e che devono essere oggetto di una riforma della giustizia più organica in tal senso.
Quesito sulla candidatura al CSM
Un altro quesito è inerente un articolo specifico della legge 195 del 24 marzo 1958.
Al momento attuale, il CSM è composto per un terzo dai cosiddetti “membri laici” (ossia personalità che non rivestono alcuna carica in magistratura) e per due terzi invece da magistrati in carica e la norma di cui si chiede l'abrogazione riguarda proprio questi ultimi, in quanto stabilisce e regola un requisito forse poco noto che però viene chiesto ad un magistrato per presentare la propria candidatura come membro del CSM: qualunque magistrato che voglia candidarsi deve infatti ottenere preventivamente tra le 25 e le 50 firme di approvazione della sua richiesta. Questa disposizione, nata forse per dare un freno alle candidature troppo numerose ed indistinguibili tra loro, ha però favorito nel corso del tempo la formazione di quelle che sono oggi le varie e tristemente note correnti all'interno del CSM, che hanno portato ad una progressiva ingessatura e politicizzazione dell'organo di autogoverno stesso e alla sentita necessità di una riforma dello stesso.
Con il quesito referendario si vuole quindi chiedere agli italiani se continuare a dare fiducia alle correnti interne alla magistratura e sperare che cambino indirizzo oppure se permettere a tutti i magistrati di concorrere su un piano di parità per entrare a far parte del Consiglio Superiore della Magistratura e dare il loro concreto apporto indipendentemente dall'adesione o meno ad una corrente e ad una visione più o meno politicizzata e in un certo senso corporativa.
Quesito sulla valutazione dei magistrati
Come accennato nell'esame del quesito precedente, il CSM è composto in una parte minoritaria di membri “non togati”, ossia di personalità quali avvocati o professori universitari di Giurisprudenza che per vari meriti o per previsione espressa della legge possono essere chiamati a svolgere un ruolo all'interno del Consiglio Superiore della Magistratura.
Uno dei compiti principali del CSM è la gestione e valutazione delle carriere dei singoli magistrati, ma la funzione di valutazione delle carriere per qualche ragione è sempre stata attribuita solo ai membri “togati” e questo aspetto ha spesso e volentieri generato possibilità di giudizi non equi all'interno dell'organo, dettate magari anche solo dall'appartenenza o meno ad una data corrente, o comunque ha favorito logiche corporative nello svolgimento di vari eventi e di varie valutazioni.
Può sembrare strano che bastino pochi tagli per grazia popolare a garantire questa parità, ma si sa che la legge a volte è fatta di cavilli piccolissimi, che però hanno conseguenze anche molto grandi...
Quesito sulla separazione delle carriere
Se poco sopra si è parlato di “qualche sforbiciata” ad una legge, il quesito in esame propone invece una serie di richieste di tagli e di abrogazioni che diventa sproporzionata e vertiginosa e la formulazione del quesito diventa una vera e propria selva oscura di riferimenti normativi, tanto che pare difficile riuscire a valutare concretamente l'impatto di questa serie di tagli, che vanno ad impattare sulle norme più antiche ancora in vigore in Italia che regolano l'ordinamento giudiziario e su tutte le sue successive modificazioni.
Com'è noto, sia i Giudici sia i Pubblici Ministeri fanno tutti parte della medesima Magistratura e sono comunque colleghi, condividono le stesse strutture e sono tutti regolati e sottoposti alla medesima autorità del Consiglio Superiore della Magistratura... e proprio in virtù di questo rapporto, allo stato attuale è possibile che un Magistrato possa svolgere funzione giudicante (ossia essere un giudice che emana le sentenze alle varie cause e controversie) e poi decidere di passare a svolgere funzione requirente (ossia l'attività di Procuratore della Repubblica o Pubblico Ministero) e viceversa. Vi sono dei limiti interni previsti dalle norme di ordinamento giudiziario, ma riguardano prevalentemente limitazioni a svolgere queste funzioni in ambito civile o penale, senza bloccare mai la possibilità di passare alternativamente ad una delle funzioni giudicante o requirente.
Il quesito referendario non può realizzare una riforma compiuta di questo aspetto non secondario dell'organizzazione della giustizia, ma ciò nonostante vuole proporre una mastodontica opera di tagli mirati che, se realizzati, potrebbero almeno impedire ai magistrati di cambiare funzione più volte nel corso della propria carriera e favorire così una miglior specializzazione e formazione del sapere giuridico. Una simile operazione, qualora venisse approvata dal referendum del 12 giugno, non sarebbe tuttavia la fine di un problema abbastanza storico e protratto a lungo nella storia d'Italia, ma porrebbe comunque una necessità ancora più urgente di riformare questo settore con una legge fatta ad hoc per dare maggior compiutezza alla volontà popolare. Inoltre è importante segnalare che l'approvazione del referendum non potrebbe comunque sostituire l'opera del Legislatore nel regolare la separazione delle carriere in tutti quegli aspetti funzionali ed infrastrutturali, oltre che per rimediare ad un vero e proprio terremoto che si produrrebbe con tutti questi tagli al testo dell'ordinamento giudiziario.
Come sempre, l'iniziativa Parliamo di Diritto vuole cercare di dare la maggior chiarezza possibile e per il presente contributo si è avvalsa della collaborazione dell'Avv. Stefania Campa.
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