martedì 5 febbraio 2019

Serve davvero regolamentare la prostituzione?

In Italia non c'è forse tema più controverso e discusso di quello della prostituzione. Quello che però non viene considerato è che sull'argomento c'è una tale massa di punti di vista e di considerazioni contraddittorie tra loro da essere anche a volte inconciliabili, spesso adducendo quadri e ragioni storiche e giuridiche, proponendo modelli stranieri come soluzioni ideali e cercando di imporre ragionamenti ideologici fuori dalla realtà e che non fanno il bene di nessuno.

Tuttavia prima di poter trovare una soluzione, bisogna innanzitutto riuscire ad inquadrare la fattispecie ed il problema per come si è evoluto e per come si pone attualmente.
Storicamente la prostituzione si può definire come lo scambio di un servizio di prestazioni sessuali in cambio di denaro o di altra utilità tra persone adulte e consenzienti. In seguito, il carattere dell'elargizione delle utilità è stato escluso e si è concentrato sempre più esclusivamente sull'aspetto pecuniario, escludendo formalmente tutti gli aspetti di appropriazione di altri beni materiali e di utilizzo del corpo e del sesso per ottenere lustro e posizioni altrimenti non raggiungibili, lasciando solo alla morale il giudizio su tali vicissitudini.
Quello che ad oggi risulta piuttosto confuso è il fatto che in Italia il mestiere della prostituzione non è illegale, non del tutto quantomeno: esso è regolare e legittimamente esercitato solo ed esclusivamente se effettuato in forma privata ed in un luogo di privata dimora, senza collaborazioni o intermediazioni di sorta e senza nessuno che si intaschi i profitti derivati da tale attività, nemmeno se chi si prostituisce li cede spontaneamente. Casi diversi potrebbero configurare i reati di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione... con picchi paradossali nell'applicazione della normativa: per esempio la ricerca di una collega da parte di una prostituta stessa per poter meglio esercitare il mestiere potrebbe essere imputata come un tentativo di favoreggiamento. O ancora, il pagamento del compenso di una prestazione sessuale è visto in Italia come "obbligazione naturale" che può non essere adempiuta in quanto è priva di obbligatorietà giuridica e una volta pagato il prezzo non c'è modo o ragione giuridica per chiederne la restituzione, ma una prestazione goduta senza corrispondere il pagamento concordato può essere sanzionato come violenza sessuale, in quanto la prestazione non sarebbe stata altrimenti elargita senza la promessa poi non mantenuta e l'inganno del o della cliente integra giuridicamente quella coercizione che costituisce la violenza psicologica alla base del reato. Altresì il sesso con i minori, anche in cambio di un corrispettivo, è strettamente vietato e viene severamente punito non solo chi agevola, istiga o induce con qualsiasi mezzo i minori, ma anche chiunque paghi per avere favori e atti sessuali con una persona minorenne.

Come si può dedurre agevolmente da quanto descritto finora, il quadro normativo italiano in materia è particolarmente frammentato e confuso, quando non addirittura contraddittorio. E le conseguenze di questa regolamentazione frastagliata e disarmonica, piena di zone grigie più che di chiaroscuri legislativi, sono sotto gli occhi di tutti e non solo nelle strade di periferia o sulle strade provinciali alle più varie ore del giorno e soprattutto della notte.
C'è chi ritiene che la famosa Legge Merlin abbia voluto dare una soluzione ed un colpo di spugna alla materia e non si spiega come si sia arrivati a questa situazione, ma la stessa osannata legge non è stata un principio di civiltà come si è detto in passato, bensì è una delle cause della situazione attuale: è facile infatti dimenticare la situazione precedente a quella dell'emanazione della legge stessa, una situazione effettivamente molto deprimente e per certi versi drammatica, in cui le prostitute, per ragioni di finta morale spacciate per necessità di ordine pubblico, erano tutte rigorosamente e sistematicamente schedate in Questura e chiunque iniziasse in qualsiasi modo tale mestiere, non poteva poi uscirne e liberarsi di tale mondo per intraprendere qualsiasi altra carriera. Ancora oggi è purtroppo difficile tale cambiamento, ma almeno le difficoltà sono dovute alle malelingue e all'inciviltà di certi clienti, di moralisti e di perbenisti strepitanti e non c'è più la bollatura formale che era anche un inspiegabile e controverso stigma legale, prima ancora che sociale.
La Legge Merlin ha ordinato la chiusura delle cosiddette "case chiuse" e la cancellazione dei citati schedari delle Questure, andando a colpire quelli che nel bene e nel male erano solamente i simboli di un problema ben più profondo, radicato e tutt'altro che risolto: quello della dignità personale e sociale di chi esercita un mestiere ancora oggi visto come spregevole e socialmente poco o per nulla accettato. In verità, l'art. 7 della legge medesima ha cercato di dare una minima definizione in questo senso, ma è purtroppo rimasta lettera morta tanto quanto l'istituzione dell'apposito corpo di indagine dedicato in via esclusiva alla materia.
Spazzare via un simbolo tuttavia non riduce e non elimina il problema, ma consente solo di lustrare la facciata e forse la coscienza per qualche tempo, fino a quando il problema non si ripresenta in una forma anche peggiore della precedente. In questo caso, il problema è la coesistenza di due forme di prostituzione: una libera, autonoma, privata ed indipendente ed un'altra invece oggetto di tratta, sfruttamento e oppressione oltre ogni dignità e diritto umano, ad opera soprattutto, ma non solo, di manovalanze criminali straniere.
Con la chiusura delle case di tolleranza si è tolta ogni possibilità di dare una tutela fisica, giuridica, eocnomica e sanitaria a chiunque eserciti tale mestiere e ha fatto abdicare allo Stato a qualsiasi forma di controllo su tale situazione e posizione, permettendo il anzi il dilagare di nuove forme di controllo e di sfruttatori: la malavita organizzata, non solo di origini nostrane, ha avuto infatti campo libero e terreno fertile per organizzare tratte di persone da avviare alla prostituzione e territori dove esercitarla impunemente, senza riguardo a diritti e a volte anche all'età delle persone coinvolte. Allo stesso modo, la rinuncia a qualsiasi forma di controllo su tale mestiere ha comportato anche una rinuncia all'intero fiorente mercato del sesso, che mai ha conosciuto crisi e verosimilmente mai ne conoscerà per ragioni che non sono solamente giuridiche e che non pare opportuno approfondire in questa sede: quel che qui importa rilevare è che lo Stato ha più o meno consapevolmente rinunciato anche a regolamentare un mercato oggi invece esposto ai più ampi capricci, anche agghiaccianti, di chiunque abbia voglia di insinuarsi in questo ambito e ha rinunciato a tassarlo in maniera equa e regolare e a sottrarre altresì fondi e strumenti a criminali di ogni sorta e calibro, che approfittano dell'enorme ipocrisia e del diffuso velo sugli occhi per arricchirsi alle spalle della legge e sulla pelle delle persone.

In definitiva, per rispondere alla domanda che ha dato origine a questo lungo approfondimento, la risposta è che servirebbe davvero regolamentare il mondo della prostituzione in Italia: servirebbe a creare maggiore ordine nel quadro normativo italiano, a togliere ogni halibi a certe fronde di benpensanti e a cancellare una colpa storica e politica, che con la scusa ideologica di dare dignità ha finito invece per toglierla, a gettare gente sulla strada e ad aprirla a fenomeni aberranti. Servirebbe altresì alle casse erariali per trovare nuovi equilibri nella tassazione collettiva e a sottrarre risorse a soggetti ed organizzazioni che definire criminali sarebbe eufemistico e a controllare e a proteggere sotto ogni profilo chi, indipendentemente dal fatto di essere uomo, donna o transessuale, decida con tutta coscienza e consapevolezza di dedicarsi ad un mestiere tanto antico quanto solo apparentemente facile e comunque più decoroso ed onesto del dedicarsi ad una vita criminale.
Come regolamentare questo ambito è una questione completamente diversa e non è possibile fornire pareri o indicazioni senza trascendere anche nella sfera politica che è rimessa al Legislatore, ma occorre dare una nuova forma di regolamentazione, in quanto la semplice abrograzione della Legge Merlin, pur con tutti i danni che sono scaturiti da tale provvedimento, produrrebbe l'effetto nefasto di far tornare in vigore la regolamentazione previgente e farebbe quindi riemergere una serie di provvedimenti e di controlli che è bene che rimangano un retaggio del passato da non ripetere.
Per tutta la serie di ragioni sopra esposte, è bene che qualcosa si faccia e l'Italia non permanga nel limbo grigio in cui amministratori locali si muovono in ordine sparso con idee e progetti tanto contraddittori quanto l'ordinamento attuale e che nulla riescono a fare per risolvere i tanti, troppi problemi legati al sesso a pagamento.

Nessun commento:

Posta un commento