La durata e la stabilità di un Governo in Italia sono
argomenti alquanto dibattuti e sono spesso mistificati e piegati ad un proprio
tornaconto elettorale, ma la realtà giuridica ha intelaiature e segue ben
percorsi diversi da quelli che vengono di volta in volta propugnati.
Come tutti sanno, o dovrebbero sapere, le elezioni in Italia
non portano alla formazione diretta del Governo, bensì a quella del Parlamento
in entrambe le sue Camere, secondo meccanismi previsti specificamente nella
cosiddetta Legge Elettorale ed è poi in seno al Parlamento che il Governo si
deve formare, di norma su mandato del Presidente della Repubblica affinché il
capo del futuro Esecutivo riesca a trovare una maggioranza sia alla Camera dei
Deputati sia al Senato della Repubblica: qualora si trovi una maggioranza tra
le forze politiche rappresentative dell’Italia che supporti e dia fiducia al
futuro Governo, il Presidente della Repubblica incarica quindi il futuro
Presidente del Consiglio dei Ministri affinché formi una squadra di governo con
la nomina dei Ministri più congeniali e alla fine il Governo presta giuramento
di fronte al Presidente della Repubblica medesimo prima di poter iniziare a
governare.
Ne deriva quindi che il Governo non sia avulso dal
Parlamento e non può nascere e agire senza che esso sia approvato e sia esso
stesso espressione della maggioranza espressa dall’elettorato, che quindi
agisce in conformità e con l’approvazione della maggior parte delle forze
politiche elette e presenti in Parlamento. Da ciò deriva anche una seconda
conseguenza spesso ignorata: nessun Governo può durare all’infinito, ma il suo
mandato ha una durata massima che coincide con quella del Parlamento da cui
nasce e di cui è, o dovrebbe essere, voce e rappresentanza esecutiva.
Tuttavia un Governo non necessariamente cessa con la
naturale scadenza del Parlamento, anzi nella storia repubblicana un Governo
durato per l’intero mandato parlamentare appare praticamente come un miraggio,
perché è sempre possibile che decada prima.
Tale evento avviene quando il Parlamento, per qualsiasi
ragione, nega la sua fiducia ad un provvedimento del Governo quando questi pone
la cosiddetta “questione di fiducia” su un provvedimento legislativo, ossia
quando l’Esecutivo chiede al potere legislativo dello Stato di fidarsi su un
punto particolarmente delicato. Sul modo in cui tale strumento è stato usato ed
abusato nella storia della Repubblica si potrebbe aprire un’altra ampia
digressione, ma in questa sede basti sapere che nel caso in cui la questione di
fiducia viene respinta dal Parlamento, anche per un solo voto, il Governo deve
considerarsi sfiduciato e delegittimato a continuare la sua opera, se non per
l’ordinaria amministrazione fino alla nomina di un Governo successivo.
Analoga causa di decadenza è sempre derivata dal voto del
Parlamento quando venga presentata una mozione di sfiducia al Governo da uno
qualsiasi dei suoi membri e tale mozione venga approvata dalla maggioranza
anche di una sola delle due Camere: in virtù del sistema di bicameralismo
perfetto che vige in Italia, il Governo deve avere la fiducia della maggioranza
di entrambe le Camere e quando l’approvazione di anche una sola delle due venga
meno per via di tale mozione, il Governo è analogamente delegittimato.
In caso di particolare turbolenza politica, il Governo, su
iniziativa del Presidente del Consiglio dei Ministri, può altresì richiedere ad
entrambi i rami del Parlamento di esprimersi con una votazione di fiducia
semplice, slegata da qualsiasi provvedimento legislativo e che funziona in maniera
simile a quanto già visto poco sopra: nel caso in cui la maggioranza di
entrambe le Camere del Parlamento approvi la richiesta di fiducia del capo del
Governo, la sua attività procede, ma se anche una sola delle due nega la
propria approvazione, anche solo per un voto, l’Esecutivo entra in ordinaria
amministrazione.
Quelle sin qui illustrate sono le possibili cause di
decadenza parlamentare del Governo, ma la crisi può altresì essere anche
extraparlamentare: in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, sia essa
politica o di altra natura, il Presidente del Consiglio è sempre libero di
rassegnare le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica e di avviare
quindi l’iter successivo alla caduta del Governo, che non sempre è costituito
dalle elezioni anticipate.
In nessun il Paese può restare senza Governo, neppure quando
questo è sfiduciato o si dimette: onde evitare il vuoto, il Governo che non
goda più della legittimazione a proseguire la propria opera deve restare in
carica per curare l’ordinaria amministrazione dello Stato, ossia deve rimanere
e prendere le decisioni normali per mantenere la vita dello Stato, ma non può
più proporre provvedimenti legislativi o approvare decisioni, decreti
ministeriali e in generale atti che abbiano una qualsiasi valenza decisionale,
in attesa che ad esso subentri il nuovo Esecutivo.
Come già più volte ribadito, il Governo è indipendente dal
Parlamento e quello delegittimato può non essere l’unica espressione possibile
della maggioranza parlamentare: prima di ricorrere alle elezioni anticipate, è
quindi necessario ed auspicato dalla prassi che si proceda ad un altro
passaggio, ossia un nuovo incarico esplorativo affidato dal Presidente della Repubblica
ad un diverso soggetto, affinché questi sondi le forze politiche presenti in
Parlamento e trovi una maggioranza disposta a sostenere il nuovo possibile
esecutivo, che potrebbe essere ipoteticamente la stessa che aveva sostenuto il
precedente Governo, come avvenuto nella Legislatura che ha sostenuto i Governi
Letta, Renzi e Gentiloni, o una nuova in diversa composizione precedentemente
non esplorata per le più varie ragioni e continuare così con un nuovo Governo,
voce ed espressione di una rappresentanza nuova o anche di sostegno ad un Governo Tecnico o cosiddetto di scopo, fino al termine della
Legislatura, ossia del mandato parlamentare.
Almeno in via ipotetica, dal momento che, come menzionato
nell’esempio sopraccitato, è possibile che anche il nuovo Governo formato entri
in crisi nei modi appena visti e debba ricorrere nuovamente all’iter fin qui
illustrato.
Solo ove le consultazioni non dessero alcun possibile esito
favorevole e non fosse quindi in alcun modo possibile rinvenire una nuova
maggioranza, non resterebbe che lo strumento finale da parte del Presidente
della Repubblica: lo scioglimento delle Camere e la fissazione di una nuova data
per le elezioni anticipate, che non possono tenersi a meno di tre mesi dalla
data del provvedimento di scioglimento. Fino alle nuove elezioni e quindi fino
alla nomina e all’insediamento dei nuovi Parlamentari, non sarebbe più solo il
Governo, ma anche il Parlamento stesso ad entrare nella cosiddetta ordinaria
amministrazione.